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Capovilla: “In Italia c’è troppa autocensura”

admin
Marzo29/ 2013

capovilla 1

di S. Alfredo Sprovieri

Pierpaolo Capovilla recita Pier Paolo Pasolini. Gli echi sono quelli dell’auditorium Guarasci, nel centro storico della città di Cosenza. Patrocinio della Provincia (suo è l’auditorium) e organizzazione di MKlive insieme a BeAlternative e Circolo Cabret. Si parte con la “Ballata delle Madri“, accompagnato da sottofondi di Steve Reich e piano di Kole Laca. Poi tocca a “La Religione del mio Tempo“, che dà il nome all’evento che sta girando i teatri della penisola. Qui Laca si alterna fra improvvisazione e uno schema armonico ripetuto efficacemente. Si conclude in crescendo con “Una Luce“, con gli archi campionati di Scott Walker, da “A Farmer in the City“.

Il leader del Teatro degli orrori è sul posto già alle prime luci della sera, per il sound check bastano cinque minuti, chiacchierate cortesi con tutti e il resto in sigarette, prima di guadagnare riposo e concentrazione in albergo. Si cena a fine spettacolo, quando la tensione finalmente si allenta.

La tensione vibrante di quella indomita tempra morale che Capovilla ammira del lascito Pasoliniano. La barra di navigazione che permette di convertire rabbia in impegno, disperazione in speranza. “Fra gli artisti oggi in Italia c’è troppa autocensura, tutti spaventati di pestare i piedi al potente di turno. Io non vedo l’ora, ho da perdere solo la dignità. Siamo venuti al mondo per cambiarlo” dice quasi a sé stringendo i pugni, ma il come è decisivo e fuori a prendere le prime boccate d’aria della sera a voce alta se la prende con l’umana mano che stupra il territorio. Alle maledizioni della natura non si sfugge, questa la certezza del caos politico economico e sociale in cui sguazza il mefistotelico capitalismo dei ragionamenti capovillani.

Pasolini da vivo, oggi. Questa è una domanda che attraversa l’intelletto dell’artista mentre fa rivivere con corpo e parole le sue poesie del dopoguerra, di certo meno conosciute dell’intensa opera cinematografica. In sala molti giovani, fuggiaschi da quella televisione che iniziava ad abbracciare l’edonismo consumistico ai tempi di Pasolini e che nella disastrata Italia dei giorni di Capovilla è stretta nella morsa di se stessa.

Lo sapeva uno, lo sa anche l’altro: anche il palcoscenico è una cattedra. In sala arriveranno molti giovani, Capovilla si dice stanco di tanti anni sui palcoscenici e prima di andare a mettersi la cravatta rivela a voce alta il nome che vorrebbe dare ad un futuro nascituro maschio.

A lui e a loro dirà presto: “E’ colpa mia”.

 

GUARDA L’INTERVISTA A PIERPAOLO CAPOVILLA

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