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BRIGANTI | Il mistero di Ciccilla e la prima trattativa Stato-mafia

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Marzo25/ 2014

Sette articoli vergati con eleganza su “L’Indipendente” di Napoli dalla la firma del suo redattore in capo, Alexandre Dumas, raccontarono una serie di delitti che nel 1864 fecero diventare la Presila cosentina famigerata in tutta l’Europa del tempo. L’immortale scrittore rimase stregato dalle montagne bruzie e da quei popoli contadini che si erano dimostrati capaci di fermare le scorribande napoleoniche, e riportò in una serie di racconti dettagliatissimi l’ondata di misfatti compiuti da una banda di briganti che divenne di grande celebrità per l’epoca. Pochi lo sanno, ma parliamo dello stesso anno in cui scrisse, in un modo o nell’altro influenzato anche dagli eventi calabresi, il celeberrimo “Robin Hood”, pubblicato postumo. Molte zone dell’Italia appena unita erano sconvolte da un buco di potere e la proprietà della terra ritornava ad essere scintilla per faide che spesso riuscivano a sfiorare il concetto di guerra civile. Lo Stato inviò in Calabria militari e strateghi di primordine per fermare quella che ritenevano la minaccia principale, quella che prima di tutto era una storia di amore e passioni: la vicenda di Pietro Monaco e di sua moglie, Maria Oliverio detta Ciccilla. La loro vita, sulla quale per molti tratti ancora oggi l’oscurità cala l’abito dei boschi che le fanno da scenario, è cruciale per le epoche che seguiranno. Anche grandi condottieri come Borgès avevano capito che da quelle invincibili selve, così somiglianti a Sherwood, poteva partire l’insurrezione, la controrivoluzione. In quei posti, oggi di nuovo strappati all’anonimia, si giocava insomma la storia con la lettera maiuscola.

ciccilla
Un ritratto dedicato al mistero di Maria Oliverio

Tutto inizia con delitti apparentemente da bestie, ma lo sa bene chi  con fatica ha letto gli atti e messo insieme le storie del tempo, dietro i futili motivi della terra o dell’onore si celavano gli insani sogni di dominio sulle popolazioni, la competizione con lo Stato nascente e la sua legge si acuisce mentre scemano le lotte contadine. Pietro Monaco era un ottimo soldato e l’iperbole del suo vissuto rappresenta appieno l’instabilità di quel periodo. Aveva servito l’esercito borbonico in epici scontri prima di passare alla causa dei Mille, grazie alle parole di Giuseppe Garibaldi che a Rogliano promise di restituire ai contadini le terre usurpate dai baroni. Ma tornato vivo a Macchia di Spezzano Piccolo, ai piedi della Sila, Monaco non trovò terre da coltivare, ma la diseguaglianza sociale di sempre, uniti all’ordine di tornare in servizio per gli eserciti del nuovo Stato. Fu allora, in preda ad antica miseria e ad un torto subito, che scelse di farsi brigante. La nuova nazione impiegò le massime forze per fermarlo in tempo, inviando nel forte di Celico (del quale oggi resta solo un muro di cinta e i sotterranei nascosti da rifiuti) il Maggiore Pietro Fumel, militare temuto quanto spietato. Si aprì quindi in questi territori e in molti altri del Mezzogiorno una lunga stagione di violenza che lo Stato promise – con rinforzi diplomatici come quello del generale Sirtori, braccio destro di Garibaldi – di combattere con “l’amore o col terrore”. E invece niente di tutto questo. Sono molti i libri sull’argomento, ma come dimostrano i preziosi documenti (fra cui le corrispondenze di Dumas) recuperati da “Ciccilla” (Pellegrini Editore, 2010) di Peppino Curcio, in questa vicenda possiamo trovare le prime trattative di pezzi importanti dello Stato con criminali protagonisti di attacchi al cuore dello Stato stesso. Basta per esempio dare un’occhiata al pluri rapimento di Acri del 1 settembre 1863, ad opera della stessa banda Monaco; una specie di sequestro Moro ante-litteram in cui vengono portati via con la forza illustri uomini della Guardia Nazionale e vescovi con un’azione spettacolare e cruenta. Il fatto dà il via alla serie di articoli di Dumas, in cui, in ordine generale, si possono scorgere chiaramente come le zone grigie delle istituzioni comincino ad accrescere potere e usando commistioni con la criminalità e nascondendo le proprie compromissioni dietro vicende come quelle della giovane Ciccilla, dal mistero della sua bellezza fino alla sua (presunta) fine nel Forte di Fenestrelle.

Si tratta della fortezza di montagna pià imponente d’Europa, la grande muraglia piemontese, un gioiello architettonico sulle quali pareti ancora oggi si può leggere l’iscrizione “Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce“, capace di far sembrare arbeit macht frei un motto da educande. Secondo alcuni scrittori (Pino Aprile in testa) è stato un lager per meridionali, ma le tesi documentate di alcuni storici veri (tipo nel libro: “Le Catene dei Savoia” di Juri Bodduto e Luca Costanzo) lo smentiscono in modo categorico. Una bagarre tutta italiota, mentre oggi nella struttura da turisti si può assistere a saggi di ballo orientale. L’Italia va così, rimuove alla buona. C’è già da ritenersi fortunati se quella incredibile muraglia sulle Alpi non è in stato di abbandono.

ciccilla filmPerciò è oltremodo interessante il lavoro fatto per portare alla luce la pellicola Ciccilla, girata da Mario Catalano, Paride Gallo e Giuseppe Salvatore. Tratta dal libro di Curcio, verrà proiettata in anteprima il 9 novembre del 2015 nel cinema Modernissimo di Cosenza e sarà curioso vedere (in questa o in altre proiezioni, visto che è la prima è già sold out) come la finzione scenica ha affrontato il mistero della fine della brigantessa avvenuta dopo che, grazie ad un’estrema anticipazione della legge sui pentiti – che favorì il tradimento dei briganti e l’uccisione del loro capo Pietro Monaco – i criminali più pericolosi, che per anni di “grassazioni” (spettacolari rapine a mano armata) erano stati indubbiamente aguzzini e non liberatori di quei territori, tornarono ad abitarli smacchiati di ogni crimine e presentati come eroi romantici alle popolazioni.

Un esercizio necessario insomma, il fare i conti con quella storia controversa 150 e oltre anni dopo ancora in custodia ai vinti, quando ancora le diseguaglianze sociali non hanno trovato soluzioni di continuità e lo Stato perde ancora tempo nella cosmesi della forza repressiva.

Una bestemmia alla libertà dei calabresi, oggi come ieri.

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".

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