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L’INESPRESSO | Compagno Staccione, una morte da mediano

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Febbraio04/ 2016

Nell’estate del 1931 il Cosenza Calcio è pronto ad affrontare un nuovo campionato di Prima divisione, su per giù ciò che oggi chiamiamo Lega Pro. La squadra viene inserita nel girone F, quello meridionale, insieme a formazioni come Messina, Palermo, Catania, Salernitana, Reggina e Catanzarese. L’avvocato Tommaso Corigliano, presidente della compagine, desidera il salto di qualità e ingaggia giocatori di indiscusso valore. Tra questi spicca il nome del centrocampista torinese Vittorio Staccione, il cui curriculum fa sognare gli sportivi cosentini.

Il calciatore torinese Vittorio Staccione in una rara foto dell'epoca
Il calciatore torinese Vittorio Staccione in una rara foto dell’epoca

Ha 27 anni e viene da tornei fantastici trascorsi prima nella sua Torino, dove vince uno scudetto poi revocato per il caso Allemandi (combine), e poi a Firenze. Le cronache del periodo raccontano di un Vittorio poco entusiasta di quel suo trasferimento in Toscana; oltre ad allontanarsi da casa, deve sopportare la delusione di un declassamento di categoria che considera ingiusto. Ma la compagine viola è ambiziosa e col tempo Staccione si ambienta perfettamente diventando un pilastro e uno dei giocatori più amati della squadra del marchese Luigi Ridolfi, grande amico di Benito Mussolini nonché fascista della prima ora. Qui, durante una festa di piazza, conosce una ragazza di Fiesole, Giulia Vannetti, che diventerà l’amore della sua vita. I due si sposano e vanno a vivere insieme. Sono anni meravigliosi che culminano, nella stagione 1930-1931, con la tanto agognata vittoria del campionato. Firenze è in festa, le strade della città sono prese d’assalto dall’entusiasmo dei tifosi per un traguardo atteso a lungo.

Ma a Vittorio non è concesso di gioire.

Nelle ultime gare di quella strepitosa cavalcata, è sceso in campo con il cuore a pezzi. Da pochi mesi la sua Giulia non c’è più. E’ morta durante il parto insieme alla bambina che aveva in grembo, abbandonando suo marito nel momento più felice. Il dolore di Vittorio Staccione è immenso, il mestiere di calciatore viene svuotato di senso. La Fiorentina lo capisce e, crudelmente, andando contro la volontà del popolo gigliato e dello stesso calciatore, retrocede Staccione di ben due categorie. E’ il momento di vestire la casacca del Cosenza.

Per l’avvocato Corigliano si tratta di un colpo di mercato sensazionale. Per il calciatore, invece, è una botta tremenda, incomprensibile. L’ennesima. In un attimo quel piccolo ragazzo piemontese (è alto appena 1,71), da una vita da Serie A, è passato alla depressione e all’anonimato più cupo. Non ne può più, vorrebbe lasciare il calcio e mandare tutti a quel paese, ma succede qualcosa di inaspettato. Magicamente, quella minuscola e insignificante realtà del Sud riesce a fargli cambiare idea.

La targa in marmo dedicata a Vittorio Staccione posta sulle mura dello stadio Zini di Cremona
La targa in marmo dedicata a Vittorio Staccione posta sulle mura dello stadio Zini di Cremona

Nel piccolo impianto sportivo del “Città di Cosenza“, inaugurato proprio in quell’autunno (successivamente diventerà “Emilio Morrone“), Staccione insieme ai suoi compagni si rende protagonista di anni memorabili. Grazie alle sue doti tecniche e all’esperienza accumulata a Torino e a Firenze, guida la mediana con intelligenza, senza risparmio, ma entra nel cuore dei tifosi rossoblù soprattutto per la sua voglia di non arrendersi mai, anche al cospetto di avversari superiori. Oltre al calore della piazza bruzia, a fargli dimenticare i dolori concorre un suo grande amico e compagno di squadra in granata, l’ungherese Mihály Balacics, chiamato dall’avvocato Corigliano a guidare la panchina rossoblù. Il Cosenza nella stagione 1932-1933 raggiunge un incredibile terzo posto, andando vicinissimo alla promozione. Pur mancando l’obiettivo più ambito, quella rosa di giocatori tra i quali si ricordano Pampaloni, Fenili e De Martino, entra nei cuori della tifoseria cosentina per l’impegno e l’attaccamento alla maglia mostrati in ogni partita. Staccione è alla soglia dei 30 anni e sta vivendo una seconda giovinezza in una terra alla quale mai poteva immaginare di legarsi così tanto. Quella terra povera, desolata e distante da casa, è riuscita, seppur parzialmente, a curare le sue ferite più profonde, rendendolo più resistente di fronte ai tormenti che, nonostante la giovane età, hanno già segnato il suo cammino.

Ma arriva di nuovo il tempo di partire, anche stavolta a malincuore.

Dopo tre anni in cui totalizza 77 presenze in campionato, lascia la Calabria per andare a giocare con il Savoia. E’ l’inizio del declino. In un solo colpo la sua rinascita diventa un lontano ricordo. Torre Annunziata non è Cosenza e a lui bastano poche settimane per comprenderlo. Non lascia il segno come vorrebbe e, pur avendo appena compiuto da poco 31 anni, decide che è arrivato il momento di smettere con il calcio. Con la mente è perennemente altrove, corre e suda tirando il gruppo durante gli allenamenti, ma ha troppa rabbia in corpo e si chiede continuamente cosa ci faccia lì. Il tormento per la morte prematura di sua moglie è tornato a riempire le sue giornate, il pallone non lo appassiona più. Torna a Torino fra ai suoi familiari e trova lavoro alla Fiat come operaio. E’ il 1935 e per l’ex calciatore Vittorio Staccione inizia una nuova stagione della vita.

Si avvicina alla politica, disapprovando e combattendo l’impero mussoliniano. Il primo marzo 1944 è tra i principali artefici della protesta che porta gli operai delle fabbriche più importanti del Nord a scioperare e a resistere contro i soprusi  e le follie del regime fascista. Una presa di posizione dura e da leader assoluto, così come faceva quando giocava a calcio. Gli costerà cara.

L’OVRA, la polizia politica fascista, lo perseguita. Finisce in manette più volte, anche per i suoi legami con i partigiani torinesi e il 13 marzo 1944 entra anche nel mirino delle SS, che lo catturano insieme al fratello Francesco Staccione. Deve essere messo a tacere, non può più rimanere in Italia. Fascisti e nazisti decidono di trasferirlo nel campo di concentramento di Mauthausen – Gusen.

Il campo di concentramento di Mauthausen
Il campo di concentramento di Mauthausen

Trascorrono mesi terribili. Lentamente. Il lavoro è massacrante e le prevaricazioni subìte quotidianamente dalle SS, che temono il suo carisma contagioso, annientano quasi istantaneamente il suo invidiabile fisico d’atleta. La fatica invade la mente e cancella ogni pensiero legato al passato, anche il più doloroso. Resiste con tutte le sue forze, come era abituato a fare nel rettangolo di gioco, ma in questo campo non basta.

L’orrore del tempo lo uccide un grigio 16 marzo al termine di atroci e lunghe sofferenze per una cancrena alla gamba martoriata dagli incessanti calci dei soldati nazisti. Quelle gambe da mediano instancabile che sono state la sua fortuna e il suo sostegno nei momenti più bui, lo hanno abbandonato a pochi passi dal triplice fischio finale di una guerra assurda e incomprensibile. Il 5 maggio le avanguardie della 3ª Armata americana liberano il campo di Mauthasen. È il 1945 e il secondo conflitto mondiale è ormai giunto al suo epilogo, lasciandosi alle spalle storie di dolore, di rabbia e di pallone. Storie come quella di Vittorio Staccione, il centrocampista che voleva solo resistere.

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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