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GIORNALISMO | Cronista Casalbore, inviato a Superga

Marco Mastrandrea
Febbraio05/ 2016

di Marco Mastandrea

«Non posso partire con voi, mio figlio si cresima. Peccato». Gira il volto, un po’ sconfitto.

«Sarà per la prossima. Per adesso, facciamoci un buon cognac. Fa sempre bene, scalda i cuori».

Lo consola l’amico con passaporto e taccuino nella tasca interna della giacca.

A restare con i piedi per terra è Nicolò Carosio, «Nick» come lo chiamavano gli amici. L’uomo-radiocronaca sorseggia il bicchiere nella hall dell’Hotel Touring mentre conversa con il collega, Renato Casalbore, pronto. Fuori il tempo è grigio, dal telefono dell’albergo piovono incessanti «mi dispiace», «ho fatto il possibile ma sai com’è, ci rifaremo presto». E’ il capitano del Torino, Valentino Mazzola che parla alla cornetta per scusarsi personalmente con chi non può partecipare al viaggio in trasferta per Lisbona. «Ci sarà un’altra occasione» e appoggia la cornetta. Mazzola raggiunge al cantuccio Nick e Renato. «Va meglio?», chiede Casalbore. «Così così», risponde Valentino. Mazzola è febbricitante da qualche giorno e la sfida sul terreno del Benfica sarebbe a rischio per qualsiasi giocatore considerato nella norma. Inutile dire che il capitano avrebbe giocato anche con una gamba, figurarsi a pensare che non avrebbe preso le ali per planare in Portogallo al fianco dei compagni. In realtà, potrebbe evitare, la partita è un’amichevole organizzata dalla Olivetti per i dipendenti portoghesi, ma il suo Francisco Ferreira, capitano dello Sport Lisboa Benfica, ha chiamato e Valentino fatica a dire di no agli amici.

«Un altro cognac?»

renato-casalbore

Casalbore è così. Non è fedele al whisky quanto Thomas Barnes, leggendario caporedattore del Times dell’800, ma ha la stessa velocità di scrittura e girovaga la notte, ma, soprattutto morirà sul lavoro proprio come il collega londinese.

Appena finita la guerra, Casalbore ha deciso di fondare un settimanale e di esserne il direttore. Il settimanale ha successo e diventa un bisettimanale, poi esce tre volte a settimana e piano piano si avvia a diventare quotidiano. Si chiama ancora oggi Tuttosport e in questi anni rappresenta il ravvivato entusiasmo dell’Italia di Coppi, Bartali e del Grande Torino.

 

Renato è partito da Salerno, in Campania ha mosso i primi passi nel giornalismo agli ordini della scuola napoletana, studi classici e un po’ di corse in pantaloncini sui campi che oggi fatichiamo a definire di calcio. Poco dopo i vent’anni con destinazione Torino. Fa l’impiegato amministrativo alla Stampa, per mettere ben presto la firma alla Stampa Sportiva e dopo aver ricoperto tutte le possibili mansioni, è promosso direttore sportivo della Gazzetta del Popolo di Torino. Firma brillante e rispettata, giornalista equilibrato e coerente, l’inchiostro non macchia, garbato e signorile domina con competenza anche gli sport minori, si trasferisce ai piedi della Mole sette anni prima della nascita della Salernitana che ben presto avrebbe avuto una divisa dello stesso colore del Grande Torino.

Il gomito di Casalbore è affiancato da quello di Carlo Bergoglio (a detta di Aldo Biscardi sarebbe il cugino di Papa Francesco). Popolare e divertente, «Carlin» parte da caricaturista ma in carriera, come Renato, percorre la trafila giornalistica, diventa un caposcuola del giornalismo sportivo torinese e in futuro sostituirà Casalbore alla guida del giornale.

tuttosport

L’ultima cronaca del fondatore di Tuttosport è datata primo maggio 1949 e racconta del prezioso punto guadagnato contro l’Inter, lo scudetto è dietro l’angolo.

«voglio dire: saper essere tempestivamente al momento giusto, sempre aderenti alla situazione. Ed era una situazione difficile per il Torino».

E poi due maledettissime righe:

«Domani i campioni partono per Lisbona per incontrarvi martedì prossimo lo Sporting, campione del Portogallo. Partono a cuore leggero».

Aderenza, tempestività, momento giusto. I campioni partono per Lisbona. Partono, ebbene sì, Renato non dovrebbe percorrere la scalinata e salire a bordo del Fiat G212, ma, il giovane giocatore, Giuliano, ha problemi con il passaporto ed ecco che Renato dice «partiamo». Con lui anche i colleghi Renato Rosatti e Luigi Cavallero.

Intanto l’angolo nella hall dell’albergo diventa più spazioso e confortante.

«Due minuti e vi lascio», dice Carosio, «così Valentino può andare a dormire e anche tu, caro Renato, se non fai, al solito, le ore piccole tanto di guadagnato».

Si attende l’indomani ancora un po’, in barba a Carosio. Poi Lisbona, poi la tragedia e lo schianto, un foro circolare di quattro metri sventra il bastione della Basilica, il Don disperato vaga tra le macerie: Superga. Ore diciassette e zero tre. I corpi sono a pezzi, le cose no, quelle sono intatte. C’è una cartolina firmata con la calligrafia dei bambini delle elementari, forse peggio. Sono gli autografi dei calciatori granata, l’hanno firmata tutti ed è destinata alla moglie di Renato Casalbore. Il timbro è del 4 maggio 1949. In coda, prima di salire sull’aereo si sente una battuta:

«Arriveremo prima noi della cartolina»

Intanto a Salerno c’è un problema. Il dopoguerra come in tutte le città è segnato dalla defascistizzazione delle strutture comunali. Lo “Stadio Littorio” diventa “Stadio Comunale”, ma, dopo Superga, i giornalisti in città inizieranno chiamarlo nei loro resoconti “Stadio Renato Casalbore”. La questione è singolare, visto che il Comune aveva intenzione di dedicare lo stadio a Donato Vestuti, giornalista e fondatore della prima squadra di calcio in città. Il sindaco Mario Parrilli decide di nominare lo stadio Donato Vestuti, ma la piazza Renato Casalbore.

Casalbore non è morto, è solo inviato all’estero.

vestuti

 

Marco Mastrandrea

Volevo fare il giornalista, poi ho letto i giornali. Salernitano e Zemaniano convinto. Non porto ‘mmasciata a nisciun’!

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