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L’INESPRESSO | Menar le mani sognando un tunnel

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Febbraio17/ 2016

di Francesco Veltri

(foto di copertina di Stefania Lecce)

C’è una rissa in mezzo al campo. Marra e Giordano se le stanno dando di santa ragione. Hanno graffi dappertutto, i capelli non erano pettinati prima figurarsi ora, e i loro compagni invece di intervenire per dividerli, gli urlano contro parole tanto impronunciabili quanto incomprensibili. Si capisce poco, si iniziano a vedere gocce di sangue sui volti dei due contendenti e uno schieramento massiccio da curva sud alle spalle di Giordano, che sembra giocare in casa e avere i favori dei pronostici. Eppure quel campo di calcetto in asfalto verdognolo, con le righe semi cancellate e con le porte in ferro arrugginito prive di reti, è da sempre uno spazio neutrale, situato nel centro del cortile del Liceo classico “Silvio Pellico”. I maschi della III B sono tutti coinvolti in quella scena da western venuta male, chi attivamente e chi passivamente. Persino Pisani, che di calcio e di risse e di sangue e di urla ha deciso un giorno di tanto tempo prima di non occuparsi mai, ha tolto dalle orecchie le sue cuffie che servono ad isolarlo da quell’universo che considera barbaro e si è avvicinato al luogo del misfatto, più per curiosità che per reale interesse a quel genere di pratiche tanto in voga tra i suoi coetanei.

«Smettetela imbecilli»

Uno dei protagonisti di quel caos è il suo miglior amico Mattia, che si ostina a voler giocare a pallone senza capirne granché. Le ragazze sono accalcate tutte sul muretto mezzo sbriciolato che si oppone al campetto, qualcuna sorride, qualcuna dice smettetela imbecilli. Laura è corsa senza pensarci un attimo a chiamare il professore Marano. Due minuti e il docente di educazione fisica meno atletico della storia dell’educazione fisica, è sul posto, ma dai suoi gesti e dal suo sguardo assente non si fatica a percepire che vorrebbe essere in qualunque altro posto tranne che lì. Di quella vicenda di ragazzi senza idee e ideali non gli interessa nulla. Ma è obbligato a fare qualcosa. Fatica maledettamente a dividere i due piccoli uomini dall’animo momentaneamente scompigliato. Non chiede nulla, dalla sua impercettibile bocca rintanata sotto baffoni troppo curati e imponenti per l’idea che ormai tutti hanno di lui, riesce appena ad ordinare ai due colpevoli di seguirlo. E poi un perentorio «ora ve la vedete col preside!» che nel suo inconscio privo di luce propria serve a sgravarlo di ogni responsabilità, donandogli nuovamente quella pace interiore che l’arrivo di Laura Costanzo gli aveva fatto smarrire qualche istante prima.

Mattia Marra e Ivan Giordano sono ora nella terza stanza più grande della scuola, dopo l’aula magna e la palestra. Non parlano e non si guardano. Siedono uno di fianco all’altro su due sedie scomodissime che servono forse ad accentuare il disagio di chi le occupa. Con dei fazzoletti di carta provano a tamponare le piccole ferite sul viso e sulle mani. Il preside arriva di corsa e chiede al suo collega cosa è accaduto. Marano dà una spiegazione sommaria, impreparata, totalmente insufficiente, ma sente che il suo compito è finalmente terminato e ora si è guadagnato il diritto di ascoltare senza fatica.

«Cosa diavolo è successo ragazzi, perché questa rissa?».

Nessuno apre bocca, nessuno vuole farlo. «Se non parlate vi sospendo per un mese, e sapete cosa vuole dire essere sospesi qui, vero?». Mattia continua a strofinarsi i fazzoletti inzuppati di sangue contro il viso, stando attento a non alzare lo sguardo. Non vuole concedere spunti espressivi all’uomo che gli si pone dinnanzi con autorità. Ivan fa l’opposto. Il sangue continua a scorrergli dal naso, ha le dita graffiate e i jeans con l’orlo abbastanza corto da mettere in risalto le caviglie senza calze che sua madre gli ha comprato dopo giorni di insistenze, strappati alle ginocchia. Quelle fessure gli fanno sentire un freddo che prima di mettersi a giocare, nonostante sia dicembre inoltrato, non sentiva. «Ve lo ripeto un’ultima volta, se non mi dite cosa è successo, vi sospendo, e questo influirà sulla vostra pagella». Trascorrono secondi di silenzio che sembrano minuti, e quando l’uomo sta per alzarsi, si sente una voce stridula, lontana. «Non è stata colpa di nessuno – dice Mattia – mentre giocavamo ci siamo scontrati e ci siamo innervositi l’uno con l’altro. Non volevamo picchiarci, le chiedo scusa». Ivan gira di scatto lo sguardo verso il suo compagno, vorrebbe dire qualcosa ma è bloccato da quelle parole. «Quindi – irrompe il preside – sarò costretto a punire entrambi allo stesso modo. Siete due irresponsabili, io non accetto che questi episodi si verifichino nella mia scuola. Chi si comporta in questo modo per questioni tra l’altro tanto stupide, non la può passare liscia. Sarete sospesi entrambi, domani vi comunicherò per quanto tempo. E ne pagherete le conseguenze. Mi dispiace, ma dovevate pensarci prima». L’uomo si rivolge al professor Marano, chiedendogli di riportare i ragazzi in classe, ma viene interrotto da uno strido potente, rimbombante:

«E’ stato Mattia, preside!»

Ivan ha deciso di dare sfogo alla sua rabbia, e adesso parla, a voce sempre più alta, sempre senza guardare in faccia il suo nemico. «Non è stata colpa mia. Improvvisamente mi è saltato addosso, senza motivo, e ha cominciato a tirarmi schiaffi, pugni e calci. A quel punto ho dovuto difendermi. Forse perché stava perdendo, ma se è una schiappa io che posso farci? Quelli come lui dovrebbero fare altro, stare con le femmine a parlare di ragazzi». Il preside guarda Mattia, sembra disorientato: «È vero quello che sta dicendo Giordano?». Mattia adesso trova la forza di guardare il suo compagno, che di scatto, ancora una volta, evita di incrociare i suoi occhi. «Gli ho fatto un tunnel – svela a voce bassa – e si è arrabbiato chiamandomi frocio». «Non è vero – urla disperato Ivan – non mi hai fatto un tunnel, stai dicendo un sacco di cazzate!». Il preside ora si alza in piedi e si rivolge ad Ivan nervosamente: «Questa è la prima e l’ultima volta che sento quella parola in questa scuola». Ivan è perplesso, e con un impeto d’orgoglio risponde all’uomo:

«Tutti lo chiamano così, non soltanto io».

«Così come?», replica il preside. «Frocio!», ribatte il ragazzo. «Ora basta – irrompe nervosamente il preside – non mi riferivo affatto a quella parola, sei uno scostumato Giordano». Poi crolla pesantemente sulla sua poltrona girevole, allo stesso modo con cui il silenzio fa nuovamente capolinea in quella stanza. Scrive qualcosa su un foglio di carta e poi dà fiato alle sue riflessioni: «Perché ti chiamano tutti in quel modo Marra?». Mattia è turbato, non si aspettava quella domanda. Fa un sospiro pesante che lo fa singhiozzare per un istante, e parla: «Forse dovrebbe dirmelo lei, che dice? Io come faccio a saperlo? L’unica cosa che so è che sono scarso ma mio padre insiste, vuole che io giochi a calcio e oggi, non so spiegarmi come, ho fatto un tunnel a Giordano, che è molto più bravo di me, e lui mi ha chiamato in quel modo. Io non sono né frocio, né gay e né omosessuale, ma non credo sia questo il problema signor preside. E a questo punto dubito che lei possa comprendere tutta questa storia così come andrebbe compresa». Quelle parole, pronunciate da quel diciassettenne timido, magro e improvvisamente sfrontato, irritano il preside. Il suo volto si irrigidisce, prima di esplodere in un impeto di orgoglio incontrollato: «Tu, caro ragazzino, non ti devi permettere di dirmi cosa devo o non devo comprendere. Stai al posto tuo e non osare mai più mettere in discussione la mia autorità. Ci siamo capiti?».

Mattia abbassa nuovamente lo sguardo e ha giusto la forza di concedere a quell’uomo dal volto alienato un sì biascicato. «Ora – si riaccende il preside – ve ne tornate in classe e vi sospendo fino a quando mi va. E domani alle otto in punto voglio parlare con i vostri genitori. Andate via e state il più lontano possibile dai miei occhi». Mattia e Ivan ora possono alzarsi e, mantenendo le dovute distanze di sicurezza, seguono il professore Marano. Stanno per abbandonare quel bunker pieno di scaffali, librerie, sedie girevoli e non, quando vengono bloccati ancora dal padrone della stanza. «Giordano? Per cortesia, prega tuo padre da parte mia di essere presente domani. So che è molto impegnato, ma la questione è importante». Uscendo da quella stanza, Mattia trova Laura ad attenderlo. Non possono neanche sfiorarsi, ma lei è lì.

Il giorno dopo il preside Fabrizio Siclari è ancora al suo posto di comando. La poltrona girevole non gira più come la mattina precedente. Sembra essersi inceppata. Stavolta di fronte a lui non ci sono Mattia e Ivan, ma il sindaco Rodolfo Giordano e sua moglie Clara Regini. Ridono, parlano di gusto. La donna è euforica, «il Natale – svela la signora impellicciata – mi mette sempre allegria facendomi dimenticare tutte le cose brutte della vita. Durante le festività ci farebbe piacere che lei è la sua signora veniste a cena da noi». Suo marito ha la testa chinata sul suo iPhone e scrive e invia sms a una velocità tale che, se solo lo volesse, potrebbe entrare in competizione con qualunque adolescente di quel Liceo. Bussano alla porta ed entrano due persone. Uno indossa una giacca verde di velluto e un paio di pantaloni marroni, l’altro ha l’abbigliamento da manager, tutto in grigio con al seguito una ventiquattrore di finta pelle ben stretta in mano.

«Cosa desiderate?», domanda Siclari ai due.

«Un signore, all’ingresso, ci ha detto di venire qui. Io sono Luca Marra e lui è mio marito Giorgio». Rodolfo Giordano alza repentinamente lo sguardo abbandonando lo schermo del suo telefonino. Una reazione violenta che sorprende tutti, tranne sua moglie Clara, rimasta immobile ad osservare quelle due presenze di fronte alla porta della presidenza. «Quindi… voi sareste i genitori di Mattia», chiede il preside. «Siamo!», ribatte Giorgio Marra. Le dita di Rodolfo Giordano continuano a digitare lettere sul display dell’iPhone che tiene stretto tra le dita, ma i suoi occhi seguono ogni movimento facciale di quei due uomini che non conosce. Perché non li conosce? Lui è il sindaco. Scruta i loro vestiti, le loro scarpe e i suoi pensieri sono identici a quel “Dobbiamo contattare il prefetgakenciojwkhqw” che sta digitando meccanicamente e senza accorgersene sul cellulare. Siclari cerca di abbattere quell’inattesa tensione, ma il suo tono di voce è tremolante, quasi balbetta: «Pr-ego, accomodatevi». Luca e Giorgio finalmente si siedono. La loro entrata in scena ha interrotto l’idillio che si era creato fino a qualche momento prima tra il preside e i genitori di Ivan Giordano. Eppure, non è successo nulla. In quella stanza adesso ci sono solo due persone in più, i due genitori di un ragazzo che ha fatto a botte con un altro ragazzo. «Preside – esordisce Giorgio – la ringraziamo della convocazione e ne approfittiamo subito per scusarci del comportamento di nostro figlio ieri mattina. La punizione che ha deciso di adottare nei suoi confronti, per noi va bene». Rodolfo Giordano e Clara Regini fissano la coppia come se non avessero mai visto nulla di simile prima d’ora. Li scuote un colpo di tosse di Siclari: «La sospensione – rivela – è annullata. Con la famiglia Giordano qui presente abbiamo pensato che sia più corretto che i ragazzi vengano puniti dai propri genitori. Bisogna essere moderni. Il sindaco e la sua signora mi trovano d’accordo nel sostenere che la famiglia sia il luogo più adatto per educare le nuove generazioni ad un corretto e sano stile di vita, in modo che in futuro tali episodi tra i giovani non si verifichino più».

Luca e Giorgio si fissano qualche istante, e poi insieme pronunciano un va bene che alle altre tre persone presenti appare poco convinto. «Una sola domanda però, fa Giorgio. Io non voglio crederci, ma vorrei che voi foste sinceri con noi due». Siclari non sente più il suo corpo, riesce appena a scrutare la sagoma del sindaco, ancora in posizione statuaria con il suo cellulare in mano. «Mi dica pure dottor Marra». Giorgio senza rendersene conto si lascia andare ad un sorriso spontaneo, ingenuo: «La ringrazio per il dottore, ma è un titolo che appartiene solo a mio marito…quasi me ne vergogno a chiederlo, ma è una cosa a cui tengo particolarmente e non riesco a tenermela dentro». Luca sbuffa nervosamente e fa cenno al suo uomo di tacere. Ma a prevalere è l’ostinazione di Giorgio, che con gli occhi sbarrati e allucinati da bambino innocente, chiede:

«E’ vero che Mattia ha fatto un tunnel al suo compagno di classe?».

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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