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L’INESPRESSO | L’urlo strozzato di Gigi Marulla

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Luglio19/ 2016

Ci sono attimi, scampoli di luce, che non si cancellano. Potranno essere immediatamente ricoperti di grigio, di buio, di merda, ma non si cancellano. E ciò che rimane è solo quel bagliore naturale. Durato il tempo di un urlo strozzato, stonato, ma comunque unico, indimenticabile. Quei momenti riescono col tempo a far dimenticare l’amarezza del dopo, del subito dopo. Perché a restare nella mente di chi ci ha creduto davvero, è solo quel volto pieno di piaghe, quella testa senza più tanti capelli e quel tentativo disperato, strappato col sudore grazie all’ultima goccia di un talento che il passare degli anni si sta portando via. Resta quell’emergere tra una marea di maglie bianche, alte come onde di un oceano in tempesta, e lui, un punto minuscolo e ormai allo stremo delle forze, che decide di affrontarle un’ultima volta a bordo della sua piccola e disastrata barca. Una barca che perde acqua e credibilità e che trasporta un equipaggio di cui non puoi fidarti fino in fondo. Ma chi se ne frega, in gioco c’è la sopravvivenza. In gioco c’è la salvezza.

Manca poco alla fine di quella maledetta partita giocata venti anni fa, e quella mischia dissennata di uomini è ancora lì, in attesa che il pallone arrivi dentro l’area di rigore. Non ci crede più nessuno che un caldo pomeriggio di giugno possa modificare un destino già deciso in altre stanze, sicuramente più fresche di quell’immenso prato verde del Nord. La palla viene buttata al centro, senza neanche troppa convinzione. Le marcature sono strette e nessuno, fra quelli che indossano la maglia rossoblù, sembra essere in grado di prenderla, di toccarla, anche solo di sfiorarla. E invece accade che il più piccolo e fragile degli uomini, riesce a spuntare fuori da quella bolgia. Salta come non faceva ormai da secoli e come secoli fa sorprende il suo avversario, sorprende i suoi compagni di viaggio, sorprende la sorte. Colpisce di testa con tutta l’energia che gli è rimasta in corpo e manda la palla dove nessuno può arrivare. Manca un minuto, un solo minuto, alla fine di quella maledetta partita e l’uomo minuscolo, stremato e senza più tanti capelli in testa, ha appena salvato la sua barca. L’ha portata al riparo dalle onde più assassine e ora niente potrà fermare quella sensazione di gioia e liberazione. Corre come un pazzo senza meta, stando però attento a portarsi dietro il suo numero nove. Ha appena regalato il miracolo più inatteso al popolo che ama. Contro tutto e tutti, contro le regole già scritte. Recitando una parte che lui non doveva affatto recitare. Il regista, evidentemente, lo aveva sottovalutato. E così, da comparsa, quell’ex campione di provincia a fine carriera, si è preso la scena, è diventato il protagonista assoluto. La realtà adesso ha fregato la finzione e quel momento, quel film, può fermarsi anche lì. Un piccolo grande stravolgimento della sceneggiatura che qualcuno si impegnerà subito a rimettere a posto aggiungendo al finale una scena forzata, recitata malissimo. Ma ciò che è accaduto prima, ormai ha lasciato il segno. Non si cancella dalla pellicola.

E’ l’otto giugno del 1997, fa un caldo bestiale a Padova, e Gigi Marulla ha appena deciso di sacrificarsi ancora una volta per salvare il suo Cosenza. Conta solo questo. Ciò che arriverà subito dopo fa parte di un’altra storia. Una storia che combatte da vent’anni contro la poesia di quell’istante. E perde sempre.

marullaok

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Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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