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Tutino, un incantesimo napoletano

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Agosto03/ 2018

Me lo ricordo benissimo quell’anno, quando l’impossibile diventò possibile. Un incantesimo oscuro aveva colpito l’Italia, stravolgendo certezze consolidate e conquiste culturali e sociali profumate di sangue e giustizia.

Era l’estate del 2018 e dopo decenni di democrazia cristiana e mafiosa, bombe, terrorismi variopinti, tangenti, leghisti e forzisti, si tornò a respirare aria umida di fascismo come nessuno avrebbe mai immaginato. Nel Paese le opposte fazioni dibattevano virtualmente di razzismo inconsapevole, di radical chic di sinistra, di coppie gay non omologate, di aborto da abortire, migranti morti in mare o semivivi da lasciare a casa loro e di Cristiano Ronaldo.

Si gioiva per la rinascita del calcio italico, gestito dalla “Fiat Chrysler Automobiles” e da americani, cinesi e De Laurentiis che firmano autografi al posto dei loro dipendenti più famosi. Si commentava con apatico distacco la cinica ma inevitabile rimozione notturna, dalle sue cariche prestigiose, dell’insostituibile «amico» Sergio Marchionne. Ancora prima che salutasse per sempre il mondo dei vivi e del business.

Quello strano incantesimo aveva reso davvero tutto possibile. Un anziano extraterrestre portoghese che di professione faceva il calciatore rockstar, imbottito fino al collo di diamanti luccicanti e accecanti, lasciava il club più titolato del pianeta per vestire la casacca bianconera della Juventus. Il difensore Leonardo Bonucci, un anno dopo il suo cattivissimo e convintissimo addio alla vecchia signora, aveva supplicato e ottenuto un ritorno, sacrificando sull’altare della patria un giovanissimo di belle speranze, tale Caldara. E mentre i disastrati operai di ciò che restava della Fiat, abbandonavano sul nascere l’idea di protestare contro la famiglia Agnelli per i suoi miliardi da cospargere sul corpo esanime del dio pallone, i 90 milioni macchiati di tradimento di Gonzalo Higuain erano già un lontano ricordo, ancora più lontano del post ventennio prebellico.

Tutto era lecito in quell’Italia lì, persino uccidere per strada chi aveva un colore di pelle più scuro, e mica lo si considerava razzismo. No, «se io sono razzista – era il motto più in voga – tu sei renziano» e va detto che i molti nemici portavano in dono moltissimo onore a ministri invasati e sovranisti di ultima generazione.

In quella calda, poi fredda e poi caldissima estate, il presidente americano più osceno della storia dei presidenti americani elogiava l’Italia diversamente razzista di Conte, Salvini e Di Maio, che a loro volta esultavano sui social (li ricordate i social?) come bambini di fronte a un pallone gonfiato un po’ troppo. Gli squadroni del Nord volavano alto, mentre quelli più piccoli fallivano miseramente, per poi essere resuscitati da produttori di cinepanettoni in cerca d’autore.

Quella stagione stregata del 2018, aveva regalato a Macron un mondiale putiniano, alla invisibile Croazia una piazza d’onore impensabile, al minuscolo Cosenza uno scugnizzo partenopeo e una favola antica come non se ne vedevano più.

Quella favola si chiamava serie B.

Lo scugnizzo era il grande Gennaro Tutino.

Ancora sconosciuto al vasto universo del futbol.

«Gennà – gli aveva urlato all’orecchio l’incantesimo travestito da padrone del suo destino – tu devi andare al Carpi perché te lo dico io dove devi andare, hai capito? Pallone e vita funzionano così, fattene una ragione. A Carpi ti riempiono di soldi, a Cosenza solo di amore».

E così quell’ometto aveva abbassato lo sguardo convincendosi che fosse giusto così.

Poi, però, me lo ricordo benissimo, nel bel mezzo della prima notte di agosto, accadde qualcosa di strano. Gennaro, lo scugnizzo partenopeo più triste del tempo, evase dal suo carcere dorato, e raggiunse nuovamente la povera Cosenza.

«Mi rivolete?» chiese alla città.

«E vida tu» si sentì rispondere.

In fretta e furia tornò a vestire quella maglia rossoblù che gli aveva regalato emozioni reali, fottendosene della carriera programmata a tavolino, di ciò che era giusto fare e dei quattrini che uccidevano passioni e sentimenti spontanei. Ebbe un coraggio inatteso, spiazzante, spinto – si diceva allora – da un incantesimo maligno e napoletano, ancora più forte e violento di quello che vagava liberamente nell’aria in quei giorni caldi d’estate.

Me lo ricordo benissimo quell’anno, era il 2018, l’inizio di una nuova epoca buia per l’Italia intera. La Juventus, ovviamente, vinse tutto, ciò che restava della Fiat volò per sempre in America, le rivisitate leggi razziali diedero slancio e vigore a esseri umani inconsapevoli e Gennaro Tutino iniziò a diventare davvero il campione che era. Contro tutto e tutti.

Fino all’ultimo giorno di quel folle e surreale incantesimo.

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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