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SCOOP | A Rosarno la stele del migrante ignoto

Matteo Dalena
Matteo Dalena
Luglio10/ 2012

Ancora Rosarno. Dalle assolate campagne di duro lavoro al cimitero cittadino. Dai lettori ci arriva una foto che lascia senza parole. Siamo nel luogo dove la morte, democratica per antonomasia, appiana differenze d’essenza o di status. O per lo meno dovrebbe. Aprendo il file c’imbattiamo in una sepoltura anonima che riporta una scritta emblematica: «Sconosciuto (Straniero) di colore».

foto rosarno
Foto scattata nel cimitero di Rosarno

 Non un volto, solo un lumino/ niuna decenza dinanzi all’omega/ senza colore la fin del cammino/ umano scempio memoria ti nega. Potrebbe risuonare così l’incipit di una nuova “A Livella”. Il cantore moderno è un casuale visitatore di un cimitero del Sud, armato di fotocamera e di sensibilità. Un lettore che ci ha segnalato questa notizia da sviscerare, questa storia anonima su cui riflettere. Una storia sconosciuta che ci si presenta nella sua fase Omega: la fine. Un “Esposito Gennaro netturbino” dei nostri tempi, anzi, nemmeno. Perché quel genio di Antonio De Curtis, non si sarebbe mai neppure sognato di privare un proprio personaggio del patrimonio più grande e inviolabile: l’identità. Ancora una volta la questione immigrazione non merita un nome e un cognome, qualsiasi sia la storia siamo abituati a leggere di “afghani” “tunisini”, o di migranti. Il nome e il cognome, l’età e la storia – anche in pochi cenni – sembra non interessare a chi scrive e nemmeno a chi legge; così magari tutti evitiamo di immedesimarci nel dramma di un essere umano come noi, di un migrante come lo sono da secoli i calabresi. Nessuno a Rosarno ha inteso scoprire e scrivere il nome di questo “sconosciuto” deceduto. Senza nemmeno la data di scomparsa è praticamente impossibile scoprire cosa gli è successo, è come se non fosse mai esistito. Prima di farcene una ragione, sempre comunque umano, proviamo a chiedere a chi fenomeni di tal sorta li studia da sempre, con attestati di valenza sovranazionale.

renate siebert

Chi meglio della nota sociologa Renate Siebert (nella foto) può aiutarci a comprendere?

“La foto è davvero impressionante, struggente e di non facile lettura”, commenta la studiosa tedesca dell’Università della Calabria. “Personalmente, però, non mi spaventa, non mi fa venire associazioni a razzismo e simili. Mi fa quasi tenerezza, perché leggo nella scritta una testimonianza di impotenza, ma anche di denuncia“. Impotenza e denuncia, chiediamo alla dotta Renate di approfondire il concetto: Tutto dipende da cosa immaginiamo circa l’autore delle parole scritte: se è stato (a) un (a) bianco (a), rappresenta forse un tentativo di dare una vaga identità al morto (ovviamente dentro una cornice razzista della percezione diffusa, ma non come convincimento di chi scrive, razzista sarebbe piuttosto non scrivere niente). Se, invece, la scritta viene da un(a) compagno(a) di sventure assume insieme un saluto al morto e un gesto beffardo verso la società razzista. Comunque, qualcuno ha messo dei fiori“.

I fiori, appunto. Assieme al lumino uniscono nella morte e danno speranza. Colorano la fine del cammino di un povero sconosciuto, immigrato, senza nome. I fiori e il lumino sono gli unici segni di un’accettazione parziale (e magari solamente postuma) della persona estinta. Semplici congetture. Allora ci tranquillizziamo cercando, per la nostra poesia, un finale che appiani e stabilisca orizzontalità, proprio come “A Livella” di Totò.

“Ma timido lume rischiara la piana/ pur appassito un fiore affratella/ morte scabrosa, etiopica o ariana/ storia sbagliata, nuova Livella”.

 

Leggi l’inchiesta completa sull’ultimo numero della nostra rivista

http://issuu.com/mmasciatasampietrese/docs/mmasciata_luglio_2012/7

Matteo Dalena
Matteo Dalena

Storico con la passione per la poesia, imbrattacarte per spirito civile. Di resistenza.

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