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L’AVVELENATA | La domanda nel cassetto di Ilaria Alpi

Michele Presta
Michele Presta
Marzo25/ 2014
1 Ilaria Alpi
Ilaria Alpi, cronista, 33 anni per sempre.

Fra i cronisti veterani a Montecitorio è solito dire che quando la politica italiana, nel senso più ampio del termine, non vuole fare chiarezza su un particolare avvenimento, nomina una commissione parlamentare. Una marea di carte, documenti e testimonianze che destabilizzano l’opinione pubblica, fanno scrivere lunghi articoli di cronaca e danno fiato a politici di diversa fazione, seppellendo la verità. Tutte le storie più inquietanti nel nostro Paese sono state segnate da lavori di commissione: terremoti, terrorismo variopinto, la mafia, il G8 e non ultimo il caso Ilaria Alpi e Miran Horvatin.

Una storia tragica, velata da segreti e inchieste mai compiute. Sono passati venti anni dal 20 marzo del 1994 e ora il governo ha annunciato di voler togliere i sigilli dai documenti segreti. Il governo guidato da Matteo Renzi ha dato l’assenso alla procedura di apertura dei documenti come risposta alla lettera del Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, portatrice delle istanze di Greenpeace che, in collaborazione con la testata giornalistica Articolo 21, in pochi giorni aveva raccolto più di 70mila firme. Adesso resta il dubbio su quali saranno i documenti destinati alla desecretazione, visto che sono più di 1500 quelli che riguardano il caso Alpi-Hrovatin.

ANCHE I GIORNALISTI MUOIONO Seppur condivisibile la riflessione di uno dei tanti compagni di viaggio “Anche i giornalisti muoiono” (LEGGI QUI), il caso della giornalista italiana e dell’operatore sloveno non sembrano affatto essere una tragica coincidenza. Entrambi conoscevano bene i luoghi nei quali stavano esercitando il loro lavoro, Ilaria ancor di più visto che non era nuova alla spedizione somala. Aveva già raccontato dalle primissime ore come la geo-politica della Somalia stesse cambiando, il voler ritornare anche quando il contingente italiano stava ormai per finire il proprio lavoro era sintomo di come fosse sulle tracce di qualcosa che andasse al di là della mera cronaca giornalistica. La Somalia dei primi anni novanta aveva solamente accarezzato l’odore della libertà. Le continue rivolte quotidiane e i colpi di fucile avevano reso il paese una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare da un momento all’altro.

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Hrovatin alle spalle di Ilaria Alpi.

IL CAMMINO DELLE INCHIESTE Il viaggio fatale dei due giornalisti ha una rotta ben definita: Mogadiscio, Merca, Johar, Bosaso, Gardo, Bosaso, Mogadiscio. Percorsi ben definiti nei quali Ilaria e Miran raccontano la Somalia, le tragiche conseguenze del colera ma soprattutto i rapporti tra guerriglieri e agenzie di cooperazione. Nel corso di quest’ultimo viaggio scoprono una notizia che non doveva trapelare: la scomparsa della Faarax Oomar. Il peschereccio italiano adibito, secondo indiscrezioni ormai sempre più accreditate, al trasporto di scorie radioattive e armi militari. L’intervista che il sultano Abdullah Mussa Bogor rilascia ad Ilaria Alpi potrebbe svelare gli altarini, ma dopo la morte della giornalista italiana viene ritrovata frammentata e in molti casi le dichiarazioni non sembrano seguire un filo discorsivo. Gli altri giorni di viaggio sono caratterizzati da racconti delle piccole città somale, poi l’arrivo al porto di Bosaso e l’intervista al comandante Omar che sostiene come il rapimento delle navi sia dovuto solo agli sfruttamenti del mare. Si arriva al 20 marzo, il giorno in cui i due giornalisti vengono uccisi. Storia nota, soccorsi da un imprenditore italiano e deceduti subito dopo. Rimangono vivi l’autista e la scorta.

LA SPEZIA-BOSASO Ogni giorno navi civili e militari transitano per il porto di La Spezia. La soleggiata cittadina ligure, dove è possibile apprezzare uno dei golfi più belli d’Italia è però tragicamente nota per essere una delle discariche più nocive d’ Italia. Come descritto nel libro di Daniele Biacchesi proprio in questa l’imprenditore Orazio Duvia colloca una discarica illegale su quattro piani. Il sito Pittelli –R uffino nasce proprio come un centro destinato allo smaltimento dei rifiuti, ma con gli anni diventa talmente grande da diventare ingestibile. A collegare l’Italia con la Somalia è il magistrato Tarditi che tra lavorazioni mai avvenute e fatture false ripercorre il traffico che i rifiuti fanno dall’Europa all’Africa. Tarditi fu insospettito soprattutto dal fatto che l’imprenditore Duvia si poggiava per le sue indagini a delle navi della Marina Militare. Nel sito Pittelli-Ruffino non sono infatti mai stati trovati i rifiuti tossici dell’Icmesa di Sveso ed è possibile che i fusti dopo le indagini del 1994 furono trasportati in Somalia. Toxic berth così era nominato il molo numero 7 per le navi destinate in partenza dal porto ligure. Spesso i nomi delle indagini condotte da Tarditi si intrecciano con quelli di Ilaria Alpi e Miran Horvatin.

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SEQUELA DI MORTE Quanto descritto è correlato da strane coincidenze e sparizioni. Gli appunti della giornalista italiana; le video cassette scomparse; il depistaggio su falsi indizi e capi d’imputazione; la mancata presenza di carabinieri sul fatto e la mancata disposizione dell’autopsia sul corpo di Ilaria Alpi. Le armi non sono mai state sequestrate e il certificato di morte di Ilaria ritrovato nelle mani dell’imprenditore Giorgio Comerio. Annota Massimo Alberizzi del Corriere dela Sera “Tutta la Somalia è piena di reperti della cooperazione italiana. La strada Garoe – Bosaso, la perforazione di una quarantina di pozzi parecchi dei quali mai realizzati, i pescherecci. naturalmente (Ilaria) aveva raccolto qualcosa anche sul traffico d’armi”. La cooperazione italiana in Somalia porta con sé tutti i dubbi legati alla legittimità e legalità dell’azione stessa, e interessi in qualche modo pilotati. Prima della morte di Ilaria Alpi e Giorgio Comerio perde la vita una delle fonti più attendibile della giornalista: l’agente del Sismi Vincenzo li Causi. Nel 2002 muore l’autista di Ilaria: Sil Ali Abdi. In circostanze misteriose. Ilaria si sentiva minacciata, al giornalista e collega in Rai Francesco Aloi disse: “Io non ho paura dei somali ma degli italiani”.

Restano le domande alle quali magari si giungerà attraverso da pubblicazione degli atti. Tipo quella custodita nel cassetto di Ilaria nella sede di Saxa Rubra: “1400 Miliardi di Lire. Qov’è finita questa impressionante mole di denaro?”.

Michele Presta
Michele Presta

Dei mitici anni 90 ho poco,anzi niente. Studio giurisprudenza. Rincorro notizie.Twitto in maniera compulsiva. Un pochino di carta stampata e tanto web. Mi incuriosiscono le etichette dei vini. Odio la macchina al punto che ascolto IsoRadio anche quando devo andare al bar a bere un caffè. TW@michelepresta

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