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IL RAPPORTO | “Bossi – Fini”, un progetto politico

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Giugno10/ 2015

di S. Alfredo Sprovieri

Il 10 settembre del 2002 entra in vigore la legge “Bossi – Fini”, destinata a regolare l’immigrazione per oltre un decennio grazie, soprattutto, all’introduzione del reato di clandestinità. In 13 anni sono stati spesi più di 7 miliardi di euro e l’unico dato significativo sui suoi effetti sembra essere nel ribaltamento di peso delle forze all’interno del centrodestra. Prima di lasciare che i fatti ci spieghino qualcosa sulla sua efficacia è opportuno, infatti, ricostruire il clima politico che portò a quel tipo di legge. Siamo nel secondo governo Berlusconi, una vittoria schiacciante favorita anche dalla campagna sui temi della sicurezza nazionale portata avanti dalle forze di opposizione dopo l’attacco terroristico dell’11/9. Gianfranco Fini è vicepresidente del Consiglio dei ministri e Umberto Bossi ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione. Le due colonne a sostegno del governo e della coalizione con il pilastro Forza Italia, visto che i due sono anche i leader indiscussi di Alleanza Nazionale e Lega Nord. Cioè, rispettivamente, di un partito con la Fiamma Tricolore e di uno che il tricolore lo dà alle fiamme. Di specchio ai due partiti, e leader sono quasi antropologicamente agli antipodi; non si sopportano, si insultano da anni e lo faranno per anni ancora avvenire (Fini, abbandonate le esigenze elettorali si dirà persino pentito della legge), ma si fanno primi firmatari di un testo di legge che è qualcosa di più di una discussa serie di disposizioni per superare la precedente “Turco – Napolitano”. Se difatti la “Bossi – Fini” vista dal 2002 segna il punto di contatto politico fra le due ali estreme che sostengono il berlusconismo da destra, vista con gli occhi di oggi diventa una sorta di road map per una nuova visione in senso lepenista del centrodestra, disegnando l’humus in cui far crescere le “Tor Pontida” di Matteo Salvini.

bossi fini 2

Torniamo alla legge. Nonostante diversi organismi internazionali – Amnesty nel suo rapporto annuale 2006, per citarne uno –  l’abbiano disegnata come una legge irrispettosa del diritto internazionale di asilo e diversi tribunali nazionali (Genova, Torino, Bologna, Ancona – Jesi, Gorizia, Trieste, Milano, Terni e Verona) abbiano sollevato profili di incostituzionalità (poi scongiurati dalla Corte), il reato di clandestinità ha funzionato a regime in Italia fino al suo superamento del 2014; quando, sulla scorta di un’ennesima e gravissima strage di migranti a Lampedusa, la norma punta della legge “Bossi-Fini” è stata tramutata in illecito amministrativo con i voti di Pd e Movimento 5 Stelle.

Quanto è costata? Secondo la Corte dei Conti (relazione anno 2004) si è trattato di mettere in piedi e mantenere un’amministrazione operativa di almeno 20mila persone per 21 milioni di ore dedite alla sola gestione dei permessi di soggiorno. In totale un costo vicino al mezzo miliardo di euro all’anno, al netto dei costi delle espulsioni e dei controlli alle frontiere.

Ha funzionato? Basta soffermarsi sulla ratio principale della legge, quella della presenza irregolare sul territorio italiano, per poter esprimere più di una perplessità in questo senso. In poche parole i dati dicono che fra flussi di arrivi ed espulsioni stravincono i primi e che si è finiti per trattenere in un limbo di burocrazia anche e soprattutto chi in Italia voleva restarci per poco. La farraginosa macchina dei controlli e delle code per i permessi di soggiorno, infatti, ha avuto un impatto controproducente sull’immigrazione clandestina tanto che, in preda all’ondata migratoria da Medio Oriente e Nordafrica che tutta Europa ha tentato di arginare diversamente, l’Italia con la “Bossi-Fini” ha finito per tradire se stessa, dopando i tempi di permanenza degli immigrati in Italia senza permesso di soggiorno e quindi facendo crescere il numero di irregolari.

bossi fini - CopiaAlla lunga, visto che i dati dicono che tre quarti dell’immigrazione irregolare è formata da “overstayers”, tentata di arginare con C.p.t. C.a.r.a. e altre prigioni medievali, non poteva che generare un ghetto di senza diritti, una immigrazione disperata, rendendo ancora più difficili le politiche di integrazione. Basta vedere gli effetti nella percezione italiana della presenza degli stranieri nel proprio paese. Secondo la ricerca del Pew research center pubblicata in questi giorni, gli italiani sono di gran lunga la popolazione che tollera di meno musulmani, ebrei e rom pur ospitandone di meno rispetto agli altri paesi. Un terreno fertile, fertilissimo, per impostare campagne elettorali xenofobe e, a volerci vedere lungimiranza, un progetto politico efficace per una parte politica che in dieci anni da stampella di Forza Italia è diventata elettoralmente egemone nel centrodestra e che ora nei modelli di governo punta a mettere in atto quanto predicato.

Roberto Maroni,  Giovanni Toti e Luca Zaia, governatori di Lombardia, Veneto e Liguria, difatti ora passano all’incasso e sfidano il Viminale e annunciano di non voler accogliere altri richiedenti asilo, nonostante l’ultimo report elaborato dal ministero dell’Interno pubblicato a marzo, alla voce “Distribuzione generale nelle strutture temporanee, nei CARA e nello SPRAR” mette in evidenza che a febbraio 2015 su un totale di 67.128 presenze, il 21% degli immigrati è ospitato in Sicilia, il 13% nel Lazio rispetto ai risibili dati delle regioni “ribelli”. profughi regioniL’ente presieduto da Maroni ne accoglie il 9% (quanti la Puglia), il Veneto il 4% e la Liguria il 2%. Il sistema è ovviamente e fuori da ogni possibilità di smentita sbilanciato a Sud.La Lombardia ospita nei centri di accoglienza 60 profughi ogni 100 mila abitanti, il Veneto 50, la Liguria 80, la Valle d’Aosta 50. Fanno molto di più le regioni più vicine all’Africa: la Sicilia, prima in valore assoluto, ha nei centri di accoglienza 270 profughi ogni 100 mila abitanti, la Calabria 240, il Lazio 140. Insomma, l’emergenza gridata dai tre governatori del centrodestra ancora una volta è inesistente, solo avvertita, ed è incredibile far finta di ignorare che gli sbarcati al Sud tenteranno comunque la risalita della Penisola (e dell’Europa) per cercare opportunità di vita migliori; non pianificarlo o metterlo in secondo piano significa ancora una volta destinare alla disperazione sacche consistenti di società solo per tornaconti elettorali.

Quel progetto politico che chiamavano “Bossi – Fini” continua.

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".

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