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L’INTERVISTA | Il caso “Foia”, perché l’Italia non ha (ancora) diritto di sapere?

Salvatore Tancovi
Marzo16/ 2016

 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto l’accesso alle informazioni detenute dai governi come diritto: oggi più di 90 Paesi democratici hanno un FOIA. L’Italia non è ancora tra questi”.

Questa citazione, tratta dal sito FOIA4Italy, rende chiara l’immagine della giurisprudenza italiana in tema di opendata e libertà d’accesso ai dati pubblici. Il diritto di accesso all’informazione è regolato da norme conosciute internazionalmente come “Freedom of Information Acts”, in acronimo “FOIA”. È da 50 anni che negli Stati Uniti non solo i giornalisti ma ogni cittadino ha diritto ad accedere agli archivi statali, anche a documenti coperti da segreto di stato, fino ad allora. L’Italia ha cercato di rispondere a questa lacuna legislativa, purtroppo in maniera ancora non soddisfacente. Ci siamo confrontati sul tema con Guido Romeo, tra i fondatori dell’associazione Diritto di Sapere e promotore della petizione online “FOIA4Italy”.

Perché i cittadini dovrebbero interessarsi all’assenza di un vero e proprio FOIA in Italia?

«Chi pensa che in Italia non ci sia abbastanza trasparenza non può non desiderare un vero Foia. Non siamo solo al penultimo posto in Europa per la corruzione (dietro di noi solo la Bulgaria)  ma anche 97imi su 103 nell’accesso all’informazione secondo l’RTI rating. Molti obiettano che questa è una classifica fatta solo sui testi legislativi, ma indagini sul campo come quella di Diritto Di Sapere (qui  il rapporto) mostrano dati allarmanti come il 73% delle richieste di accesso che non riceve risposte soddisfacenti e il 65% di silenzio amministrativo. In più ci sono una miriade di evidenze aneddottiche come per esempio il caso dell’inscatolamento della Venere capitolina durante la visita di Rouhani che mostrano quanto sia opaco il nostro sistema».

D’altra parte il Governo ritiene che il Decreto Trasparenza pubblicato il 20 gennaio scorso sia al pari dei corrispettivi anglosassoni, allora quali sono le reali differenze con il FOIA americano del ’66?

«Chi dice questo è in malafede o profondamente ignorante. Lo stesso Consiglio di Stato ha cassato il testo sollevando rilievi simili a quelli già evidenziati da Foia4Italy ad esempio: le procedure sono troppo complesse e scoraggiano un privato cittadino a tentare di accedere ai dati; mancano obblighi e sanzioni per quelle pubbliche amministrazioni che non rispondono o respingono richieste di accesso agli atti; numerose eccezioni che lasciano largo spazio alla discrezionalità. Adesso vedremo cosa dicono le camere nei loro pareri. Purtroppo però siamo di fronte a un decreto legislativo quindi questi sono pareri non vincolanti. La responsabilità del testo finale è tutta nelle mani del governo».

guido romeo
Guido Romeo, co-fondatore dell’associazione no-profit Diritto di Sapere, giornalista specializzato in economia e data-journalism.

Nonostante la delicatezza del tema, la libertà della accesso agli atti pubblici pare non essere una prerogativa dell’agenda dei media né del Governo che, nonostante il grande passo avanti rispetto al passato, ha emanato una legge che sin dall’inizio è parsa obsoleta. È giusto parlare di ostruzionismo verso un processo di civilizzazione così necessario?

«Veramente Renzi lo aveva promesso durante il suo discorso di insediamento, praticamente poco più di due anni fa (VIDEO). Ha poi rilanciato il tema più volte con slide e interventi, così come ha fatto il ministro Madia. Se il Foia è entrato nell’agenda dei media solo negli ultimi mesi è perché finalmente c’era un testo governativo – anche se pessimo – su cui confrontarsi. Credo che se c’è un merito della campagna Foia4Italy, a prescindere dalla qualità del testo finale, è che abbia reso il Foia una parola conosciuta ai più. Certo, fa un po’ strano che alcune forze politiche, a parole grandi sostenitrici della trasparenza, si siano allertate solo nelle ultime settimane».

Diamo un occhio al futuro, partendo dall’immediato passato. Lo scorso 22 febbraio FOIA4Italy ha presentato una petizione firmata da 61mila cittadini, ovvero un’alternativa al Decreto Trasparenza attuale. Il ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha esaminato questo testo e dialogato con i rappresentanti del movimento. Com’è andato l’incontro e quali sviluppi possiamo realisticamente aspettarci nell’immediato?

«Quella petizione risale all’estate del 2014 quando lanciammo la campagna, i 61 mila firmatari li abbiamo cumulati in questo anno e mezzo. Il testo che vi era associato era la nostra proposta iniziale che si trova sul sito e che era stata depositata con diverse modifiche (a nostro avviso peggiorative) come proposta di legge 3042 alla Camera a firma Ascani e Coppola (Deputati del Partito Democratico ndr). Il 22 febbraio scorso una nostra piccola delegazione è stata convocata al Ministero della Funzione Pubblica per chiarire i punti che non ci soddisfacevano e che segnalavamo come rischiosi. Le osservazioni e istanze a cui abbiamo dato voce hanno molti punti in comune con quanto sollevato dal Consiglio di Stato. Quello che posso dire è che ho molto apprezzato la disponibilità del ministero perché le persone presenti erano del più alto livello ed è stato un confronto molto chiaro. Resta da vedere che cosa sarà il risultato finale. Credo che su questo testo si misurerà la vera volontà politica di questo governo di rafforzare la trasparenza».

Salvatore Tancovi

Napoletano emigrato a Roma. Scrittore per passione, giornalista per devozione.

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