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BIG FISH | Destinazione Belfast, che non fa più rima con bomba

marco panettieri
marco panettieri
Luglio11/ 2014

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di Marco Panettieri

Destinazione Belfast. La nostra Lonely Planet ci ricorda il passato, fino ai primi anni ’90, quando Belfast era elencata  e allitterata assieme a Bilbao, Baghdad la Bosnia e Beirut come un posto pericoloso nel quale recarsi, per ragioni dovute a un’altra parola che inizia per B: le bombe. Ma il passato è ormai lontano, quest’anno anche il Giro d’Italia ha celebrato un’Irlanda tutt’ora divisa ma in pace, toccando le due capitali, Belfast e Dublino. Per ricordare il passato, qualcuno ha deciso un’azione dimostrativa, un pacco bomba rinvenuto a pochi passi dal percorso della carovana rosa. Noi italiani, abituati a trovare le bombe anche nei bagni dei palazzi di giustizia, non siamo certo autorizzati a scandalizzarci.

Mmasciata.it, grazie ai suoi inviati giramondo, vi propone un diario di viaggio da un’altra di queste destinazioni.

Chi conosce l’Irlanda per motivi di turismo, spesso si scorda dell’Ulster e si concentra sulle bellezze paesaggistiche dell’Eire e sull’allegria del “Craic” della sua capitale. Eppure Belfast dista da Dublino meno di 2 ore in auto e offre altrettante meraviglie. Per chi arriva a Dublino dai Paesi UE, i tediosi controlli ai passaporti fanno subito capire che il Regno Unito sta a due passi e che gli accordi di Schengen valgono fino a un certo punto. Attraversando la frontiera si notano subito alcuni cambi, le infrastrutture del Nord sembrano migliori e i cartelli sono tutti in inglese, le traduzioni in Irish sono rarissime e presenti solo in alcuni villaggi a maggioranza cattolica.

Belfast si presenta come una città piacevole, grande nemmeno la metà di Dublino, che sta cercando di capire cosa vuole fare da grande. In passato l’industria tessile e i cantieri navali si stabilirono nella parte nord della città, dando lavoro a 35mila persone. Attualmente nella stessa area ne lavorano circa 500, molti dei quali come guide turistiche e addetti al fantastico e interattivo Titanic museum, che celebra la costruzione della nave più famosa al mondo. Scherzosamente, ma non tanto, gli irlandesi ricordano che la nave fu costruita da loro e successivamente affondata da un inglese e che fino a quando era ancorata a Belfast, funzionava benissimo.

Belfast è una città viva, si ha l’idea di un certo benessere derivante dall’economia britannica e una maniera di fare molto gentile e amichevole tipica degli irlandesi. La vita notturna è allegra e affogata fra birre stout whisky di produzione locale (Baileys e Bushmills sono prodotti a pochi km da Belfast), non tanto caotica e multiculturale come a Dublino. Gli studenti dell’enorme Queen’s University vi terranno compagnia in qualche serata di musica dal vivo o in qualche pic-nic sui prati dei giardini botanici, clima irlandese permettendo. Per chi non fosse mai stato in Irlanda, gli stereotipi sul meteo sono tutti autentici: se non ti piacciono le condizioni metereologiche e desideri che cambino, basta aspettare 5 minuti e sarai accontentato.

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Il turismo in Ulster è ancora una realtà poco sviluppata, ma sulla quale si sta puntando moltissimo, come ci racconta Patrick, il simpatico autista-guida turistica che ci accompagna a visitare alcuni splendidi scorci della costa nord. Il bus è pieno di americani e canadesi di origini nordirlandesi, che confessano a Patrick che per anni avevano sognato di visitare la loro terra d’origine, ma si sentivano insicuri. “We got some troubles” risponde Pat, abbiamo avuto dei guai in passato, alleggerendo molto il peso delle migliaia di morti negli scontri fra gli indipendentisti e i lealisti alla corona britannica.

E mentre i nordamericani si interessano al villaggio nativo di Andrew Johnson, una specie di Oliver Twist che riuscì ad arrivare alla presidenza degli USA dopo il ben più famoso Lincoln, io mi dimostro più interessato al paesino di Carnlough e ai numerosi striscioni che testimoniano l’affetto verso il loro concittadino più illustre: Brandan Rodgers, attuale allenatore del Liverpool.

Pat continua a descriverci le differenze fra i vari villaggi, dove non esiste una distribuzione uniforme di cattolici e protestanti, ma le persone si trasferivano per evitare scontri fra diverse fazioni. Come risultato esistono alcuni villaggi tempestati da simboli monarchici (“No, le corone non indicano i Burger King’s” scherzerà Patrick con gli americani) e altri dove i cartelli in Irish sono la normalità. Pat si sforza di essere equidistante, ma sono sicuro che anche casa sua è piena di corone e di statue di Guglielmo d’Orange!

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Tutto sembra distante, ma non dimenticato, come testimonia l’Ulster museum con tutta la cronologia dei “troubles” e gli artisti che l’hanno rappresentata. Più scoloriti i graffiti politici nei quartieri della città, che per anni hanno raccontato, da due punti di vista diversi, la storia di un Paese diviso. L’Irish Republican Army continua la sua attività sotto varie sigle, ma con un’intensità sempre minore. Gli accordi del Venerdì Santo del 1998 e il successivo attentato a Omagh di alcuni fuoriusciti dell’IRA autoproclamatisi “Real IRA” con l’uccisione di 29 persone, hanno portato a un sostanziale cessate il fuoco e a un governo di cooperazione in cui il premier unionista Ian Paisley governa  gomito a gomito con l’ex leader dell’IRA e vicepremier del Sinn Féin, Martin McGuinness. Tutto ció ha portato a un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita cattolici e protestanti dell’Ulster, lasciandosi alle spalle, si spera, i “troubles” e dando ai turisti un motivo in più per visitare Belfast  e dintorni!

marco panettieri
marco panettieri

Il nome lo eredità da Tardelli, non il fiato. Cervello in fuga in attesa di nuova ricollocazione geografica. Scrive in italiano perché non vuole dimenticare la sua seconda lingua nativa. Al dialetto ci pensano i parenti.

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