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IJF16 | Il giornalismo italiano si è finalmente infoiato

Salvatore Tancovi
Aprile20/ 2016

Ultimo giorno del Festival Internazionale del giornalismo di Perugia, conferenza sul tema del FOIA (il “Freedom of Information Acts”). Tra i relatori Anna Ascani del PD, in collegamento telefonico il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia, quando dal pubblico interviene Alessandro Gilioli (caporedattore de L’Espresso) tutti si girano sorpresi; hanno finalmente capito quanto i fari del circo mediatico si stiano puntando su questo disegno di legge.

L’Italia è scesa al 77mo posto nel mondo nella classifica della libertà di stampa, quart’ultimo paese d’Europa. La più grande kermesse europea sul giornalismo però si tiene a Perugia, e ha visto ben 4 eventi dedicati al Foia nostrano, chiaro segno che non si tratta più di una battaglia a suon di petizioni per soli attivisti del web, ma che la causa è stata abbracciata da una fetta più ampia di società civile. Leggendo la rassegna degli ultimi, e numerosi, articoli dedicati al libero accesso agli atti amministrativi però, emerge chiaro un messaggio: il FOIA italiano così com’è non serve a nulla.

Il Decreto Trasparenza pubblicato il 20 gennaio scorso dal governo Renzi è una brutta copia del Foia americano, butterato da falle palesi che assicurano il libero accesso solo a quei dati per i quali basterebbe anche una telefonata.

L’analisi del testo presentato dal Ministro Madia presenta, in sostanza, questi difetti:

  • Le procedure sono troppo complesse e scoraggiano un privato cittadino a tentare di accedere ai dati;
  • Mancano obblighi e sanzioni per quelle pubbliche amministrazioni che non rispondono o respingono richieste di accesso agli atti;
  • Vi sono numerose eccezioni che lasciano largo spazio alla discrezionalità.

Un libero cittadino potrebbe insomma decidere di voler analizzare degli atti pubblici di suo interesse, ma dovrebbe già conoscere la collocazione di questi dati. In aggiunta l’ente a cui inoltra la richiesta potrebbe non accettare e decidere semplicemente di ignorare l’istanza, senza incorrere in alcuna sanzione. D’altronde non è specificato quali atti possono essere richiesti e quali no, quindi sempre lo stesso cittadino di prima, che nel frattempo ha citato in giudizio l’ente che lo ha ignorato, potrebbe avere torto o ragione a discrezionalità del giudice. Insomma, ecco cosa non va nel Foia all’amatriciana.

Anithing to say? La scultura di Davide Dormino che ha tenuto banco durante la kermesse perugina
Anithing to say? La scultura di Davide Dormino che ha tenuto banco durante la kermesse perugina

Questa legge dovrebbe rappresentare una rivoluzione per il nostro paese nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, ma dall’Europa ci fanno notare, se ce ne fosse il bisogno, che siamo in netto ritardo risèpetto agli altri. Un esempio? Duecento anni fa nel Regno di Svezia, che allora comprendeva anche la Finlandia, veniva emanata una legge che riconosceva tutti i diritti del più recente Foia statunitense (datato 1956); poco da stupirsi se gli scandinavi sono primi per trasparenza amministrativa e accesso all’informazione.

Qualcuno ha fatto notare che nonostante tutti conoscano i contro di questo testo di legge c’è chi si sta opponendo ad una più giusta riscrittura. Anche sapere chi sono questi signori sarebbe già un primo segno di trasparenza. Riguardo ai tempi di questa nostra rivoluzione a scoppio ritardato ci sono le ottimistiche dichiarazioni governative, che tralasciamo, e poi c’è un intervento della deputata Ascani che, interrogata sui tempi, dice: “La mia speranza, e non prendetela assolutamente come un impegno del Governo, è che si abbia un vero Foia nel 2017, magari in tempo per il prossimo Festival (5 aprile ndr)”. Non poco tempo per una questione che doveva esser risolta ad inizio anno.

C’è un ulteriore aspetto da considerare. Le nuove tecnologie mettono ancora più in risalto le macchie opache del palazzo di vetro e l’accesso agli opendata sarà presto, si spera, una richiesta incessante da parte dei media. La pubblica amministrazione dovrà quindi confrontarsi con una nuova generazione di datajournalists poco avvezzi a scartabellare su polverosi faldoni, piuttosto saranno richiesti dati in formato digitale, veri e propri catasti online ai quali attingere con relativa facilità; una rivoluzione, seppur lenta, che s’ha da fare e si farà, ostruzionismo governativo permettendo.

Salvatore Tancovi

Napoletano emigrato a Roma. Scrittore per passione, giornalista per devozione.

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