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OSCAR ’17 | Giù le mani da Moonlight

Marco de Laurentis
Marco de Laurentis
Febbraio27/ 2017

E adesso tutti a dire che c’è un abisso tra La La Land e Moonlight. La spiegazione, priva di argomentazioni valide, è sostanzialmente: il black power di quest’anno fa da contrappeso agli #OscarSoWhite dell’anno scorso. La critica è esplicita, pesano il 41% di nuovi membri “not white”( date un’occhiata qui). Un complotto ordito quest’anno per rimediare alla cospirazione della scorsa edizione per le mancate nominations ad attori di colore? Puro paradosso (e gli attori ispano-americani allora?). Forse dimenticano le proteste che organizzò nel 1996 il reverendo Jesse Jackson perché a suo dire Hollywood discriminava nella scelta dei membri selezionati dall’Academy? Quindi adesso non venitemi a dire che il problema è proprio il numero di membri di un gruppo etnico piuttosto che un altro al suo interno.

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La domanda che sorge spontanea è: ma quanti, critici e non, hanno davvero visto Moonlight, premiato migliori film agli Oscar? Perché un film che ha vinto i Golden Globes meno di un mese fa è passato (colpevolmente) sotto traccia da buona parte della critica, o presunta tale, e snobbata sui social? Un film che parla di omofobia, bullismo, periferie (che tanto ci appassionano), comunità LGBT, questioni razziali e tossicodipendenza è da considerarsi un film frivolo? Avere finalmente un’ampia rappresentazione di opere riguardo gli afroamericani è solo una tendenza dello star system o c’è qualcosa di più? Per argomentare questa tesi io parlerei ad esempio del personaggio di Barriere interpretato da Denzel Washington, della bravura di un’attrice come Viola Davis fino ad arrivare a bellissimi documentari come 13th (sottovalutato a mio giudizio) oppure quel pezzo da novanta da 7 ore di OJ: Made in America (non me ne voglia il pur fenomenale Fuocoammare). Trovo invece articoli che riducono il tutto a: siamo tutti nostalgici di Barack Obama. Oppure che è una scelta politica di Hollywood per difendersi dalla propaganda omofoba e razzista di Donald Trump. Certo, dalle dichiarazioni di Meryl Streep di qualche tempo fa alle ultime frecciatine di Jimmy Kimmel fino ad arrivare all’Oscar di Farhadi non presente per la nota vicenda del Trumpban sono un fattore importante dell’attuale situazione, ma non l’ago della bilancia. Suona quantomeno ridicolo che l’assegnazione degli Oscars sia diretto appannaggio di Donald Trump, o sua diretta conseguenza.

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A mio modo di vedere, Moonlight ha meritato il premio come miglior film perché ha una marcia in più, perché al di là dei favorevoli o contrari, la narrazione dell’opera di Barry Jenkins crea un dibattito politico e culturale su argomenti delicati e attualissimi, facendo trasparire contraddizioni nella società con un tocco che altri film, sia recenti che passati, non hanno fatto. Sul fronte opposto si legge: peccato che La La Land si sia dovuto “accontentare” di 6 (S-E-I!!!) statuette e ha perso quella più importante (qui per esempio). Si legge ancora : “Non che Moonlight sia un brutto film, intendiamoci, ma quest’anno non c’era davvero partita“. Peccato che non una singola critica venga mossa l’uno a favore dell’altro. Qualcuno sicuramente dirà che bisogna guardare il punto di vista artistico. Ecco. Messi a confronto, Moonlight è un film di nicchia, indie e sperimentale scritta in modo sublime riprendendo una piece teatrale di Tarell Alvin McCraney non facile da adattare su pellicola. Al contrario LLL riprende un genere che sembrava caduto in disuso, è girato in maniera eccellente, ma non brilla in sceneggiatura (basta pensare alla scena iniziale in autostrada: fenomenale sì, ma in funzione alla storia?!?). Cosa c’è di così innovativo da far gridare al miracolo? Dal fatto che Ryan Gosling in tre mesi ha imparato a suonare il piano? Che Emma Stone sia stata in assoluto fantastica è palese (e il film poggia molto sul suo personaggio), infatti la sua statuetta non è mai stata in discussione. E le critiche mosse sul film non sono poche e soprattutto non vengono da un leone da tastiera qualunque come posso essere io, ma era già stato abbondantemente analizzato sul Guardian (leggete qui ).

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Sicuramente La La Land è più iconico e commerciale ma non quante volte i film piccoli e difficili hanno avuto la meglio agli Oscar? Con questo non voglio dire che LLL sia un filmetto e non ci siano scene memorabili, come quella del ballo nell’osservatorio, tanto per citarne una, ma mi piacerebbe poterne discutere e non polarizzarci sempre su: bello questo, schifo l’altro. Così come vorrei si parlasse di più di un film come Manchester by the Sea o Silence senza che nessuno inizi con la frase: “È una mattonata”. Perché il cinema è fatto anche di film difficili, argomenti scomodi e scene pesanti, altrimenti dovremmo abolire il drama come categoria. L’emozionabilità in una pellicola è comunque un parametro da prendere in considerazione, non lo è nelle opinioni personali e nei giudizi sommari che si leggono qua e là. Ora, capisco che l’epic fail finale abbia fatto montare un caso unico nel suo genere, ma non sopporto i critici che se ne escono sempre con la frase “fra trent’anni nessuno si ricorderà di Moonlight, al contrario di La La Land, perché è una tesi, se così la possiamo catalogare, priva di senso e non dimostrabile comunque. Altrimenti assegnamo gli Oscars direttamente da aggregatori di recensioni come Rotten Tomatoes e ci risparmiamo pure l’inutile passerella del red carpet, tra abiti firmati, lustrini e paillettes. Chiudo dicendo che Scorsese recentemente ha affermato che il cinema è morto, perché i cinema assomigliano a parco giochi a tema e la qualità dell’immagine e della tecnologia ha prevalso sul significato di un’opera (lo dice qui). Probabilmente sarà così, ma il verdetto di stanotte ha, se non altro, dimostrato il contrario. All’anno prossimo.

Marco de Laurentis
Marco de Laurentis

Classe ’92, abruzzese e (come avrete visto) amante del longform. Cinefilo incallito quando non scrive articoli, se non conoscete NBA, The Wire e Paul Thomas Anderson non siete suo amico.

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