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MIGRANZE | Storia di Ayad, il mondo in una cabina

Michele Giacomantonio
Michele Giacomantonio
Giugno04/ 2015

di Michele Giacomantonio

Ayad  è un iracheno e la sua casa è una cabina nel centro di Cosenza. Divide lo spazio angusto con le sue due valigie, dentro cui trascina quel che possiede, vestiti e ricordi. Aspetta che il suo avvocato sciolga i nodi del suo permesso di soggiorno e intanto passeggia paziente sul marciapiede della Questura, leggendo un libro. Alla domanda, forse ingenua, di chi gli chiede come possa affrontare la sua seconda notte sulla panchina che è accanto alla cabina della Telecom, lui sorride e spiega che “questo non è niente, io sono scappato da Bagdad”.

Perché noi occidentali le cose ce le dimentichiamo, ma “quella terra è un fuoco, raccogliamo i morti per strada per le bombe” dice in un buon italiano, imparato a Crotone durante i corsi di lingua per migranti. Bagdad nell’antichità era chiamata “città della pace”, ma da troppi anni è la città della guerra.  La fuga di Ayad comincia cinque anni fa e passa attraverso i canali della criminalità organizzata irachena collegata con quella turca, perché le vie della salvezza sono presidiate dai predoni, sempre. Cinquemila dollari ci vogliono per scappare dal quel mondo di fuoco e molto coraggio, ma se vivi in un posto da cui la guerra non andrà mai più via e dove i tuoi fratelli sono morti, uno impiccato da Saddam, l’altro ancora prima  nella dimenticata guerra tra Iran e Irak, allora pensi che rischiare tutto valga la pena.

Ti mettono in piccolo camion, in due, tre al massimo – racconta Ayad – e si arriva in Turchia”. Il viaggio è infinito, superata la frontiera si passa su camion più grandi e  si resta stipati nel cassone, qui la possibilità di essere beccati dalla polizia è minore e comunque anche gli agenti traggono beneficio da questo traffico di uomini. La parte più costosa del viaggio è sicuramente quella per mare, a bordo di una nave che passa lo Stretto dei Dardanelli, a quel punto sei in Europa, ma non ancora in salvo; è quando arrivi a Brindisi che allora sei arrivato. Ayad ha chiesto asilo politico ed è stato mandato a Crotone, lì ha imparato l’italiano, ma non è mai riuscito a lavorare legalmente, nonostante conosce sei lingue. Gli piacerebbe fare l’interprete, di tornare un giorno a casa sua non ci pensa proprio e quando gli si chiede la ragione tira fuori l’espressione stupita di chi pensa che allora non abbiamo capito niente. Non abbiamo capito che qui non si muore per strada, non saltano per aria le macchine, non ci sono carri armati ai crocevia. In una semplice parola, qui c’è la pace e tanto basta per voler restare. In attesa di sapere se ci riuscirà Ayed passeggia, sorride ai passanti, ringrazia se qualcuno gli porta dell’acqua, poi si inginocchia sul selciato e prega: “devo farlo perché devo rispettare questa terra e questa vita”.

Ayad ha ritrovato la sua città di pace.

Michele Giacomantonio
Michele Giacomantonio

Abbastanza vecchio da portare l’odore dell’inchiostro, non tanto da non usare modi nuovi di scrivere. Il giornalista è un fabbro che fa schizzare le scintille. Perché un racconto si compie se cambia le cose e trasforma la vita reale almeno un po'.

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