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IL REPORTAGE | Santa Teresa d’Avila, i tesori che ci nascondono

Matteo Dalena
Matteo Dalena
Ottobre06/ 2015

Chi ha mai sentito parlare della chiesa di Santa Teresa d’Avila di colle Triglio a Cosenza? Dieci, forse quindici, cultori del patrimonio artistico e architettonico cosentino. Incastonata sul fianco destro di palazzo Arnone, dal quale è celata, è poco più di un rudere (vedi scheda in basso) sospeso tra il disfacimento definitivo e il momento in cui la mano di qualche illuminato amministratore si soffermi su di lei per elevarla da un plurisecolare degrado.

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«Pensiamo di poterci impegnare per riqualificare gli spazi esterni, collocandovi la palestra per le attività sportive e restaurare l’antica chiesetta del ‘600 adiacente», aveva affermato l’ex presidente della Provincia di Cosenza e oggi governatore della Regione Calabria, Mario Oliverio, all’indomani dell’inaugurazione di una delle più importanti opere di edilizia scolastica del suo primo mandato: la ristrutturazione, l’adeguamento alle norme antisismiche e il consolidamento statico del vecchio monastero dei Carmelitani, della quale la chiesa di Santa Teresa è parte, poi per più di cento anni sede dell’orfanotrofio maschile “Vittorio Emanuele IIˮ. Un progetto faraonico: 3 milioni e 615 mila e rotti euro per consegnare ai ragazzi dell’istituto alberghiero “Mancini” una struttura moderna e efficiente. Un risanamento che c’è stato, ma dal quale però restò esclusa –  oltre alla vecchia tipografia dell’ex orfanotrofio attualmente semidistrutta e ad alcuni ambienti dell’antico convento sapientemente “impacchettati” dietro sbarramenti in muratura – la stessa chiesa di Santa Teresa d’Avila, oggi consumata fino alla viva pietra.

UNA STORIA GRANDIOSA Un edificio religioso dalla storia grandiosa, che ci riporta indietro fino alla metà del ‘600, quando il magnanimo sacerdote, dottore utroque jure Lelio De Donato, per effetto di una cospicua donazione in terre e ducati richiamò un primo gruppo di Carmelitani, arrivati su colle Triglio nel 1645. Al tempo sono passati poco più di vent’anni dalla canonizzazione di Teresa d’Avila (Teresa di Gesù), fondatrice dell’ordine carmelitano degli “Scalzi” o delle “Scalze” e, in poco vengono innalzati sia il monastero sia la chiesa dedicata alla Santa; una struttura corredata da quattro piccole cappelle, due cappelloni e al termine della navata centrale un maestoso altare. Come se non bastasse, lasciti testamentari successivi trasformano la chiesa di colle Triglio in uno scrigno di tesori e autentici capolavori pittorici, progressivamente perduti insieme a una lapide in memoria del pio benefattore. Diventato “Ospizio della SS. Immacolata Concezione” in periodo preunitario atto ad accogliere gli sfollati del terremoto del 1854, “Ospizio degli orfani e trovatelli sotto il titolo della Redenzione” nel 1865, “Orfanotrofio maschile del Carmineˮ nel 1872 e, infine, “Orfanotrofio Vittorio Emanuele II” nel 1925, l’uso del monastero come istituzione benefica manda praticamente in malora la chiesa adiacente, danneggiata dai successivi terremoti che colpiscono la città.

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Oggi rimane solo un cancello arrugginito a protezione di ciò che resta di una Chiesa ormai inagibile, in custodia all’Istituto alberghiero che ovviamente non ha i mezzi per restituirla al suo antico spelndore. All’interno la vegetazione si fa comodo largo persino nelle cappelle che, nonostante il tempo trascorso, esibiscono ancora la beltà di stucchi, nicchie e di una misteriosa iscrizione evidentemente legata al culto della Santa. Impossibile visitare le cappelle del lato destro dell’edificio religioso, murate ormai da tempo, ma che attraverso piccoli varchi lasciano intravedere elementi decorativi parietali sottoposti a inesorabili processi di ossidazione. Strana epoca quella in cui si fa la rincorsa a finanziare opere che ricostruiscono in modo fittizio il passato e si abbandonano ciò che di quel passato è testimonianza reale, che sotto uno strato di felci resiste all’incuria e all’ignoranza.

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LA SCHEDA | di Alessandra Carelli

Cosa rimane della chiesa dei Carmelitani Scalzi dedicata a Santa Teresa e della sua storia? Quasi nulla, un altro “non luogo” della nostra città abbandonato nel suo inesorabile percorso che lo conduce dritto verso il solito silenzio, rimane semplicemente un Rudere. Che poi la vita di un Rudere – entità che si pone incessantemente tra la continua ricerca dell’immortalità della materia e l’immancabile e naturale azione del tempo, in una continua lotta di resistenza e forza – non è così semplice. Un Rudere non è mai materia informe per quanto lasciata ai margini della più evoluta città che si mostra nelle sue forme ben definite. Il Rudere è forma che, seppur frammentata e difettosa, risulta comunque fondamentale veicolazione di valori storici e didattici. In tal senso il Rudere della Chiesa di Santa Teresa potrebbe diventare un manufatto importante: imperativa è la conservazione attraverso interventi che apportino meno manipolazioni possibili, perché solo così  si riesce a garantire una futura interpretazione. Quindi bisogna “custodire” e “salvare” quel rudere frenandone quello che oggi è l’irrimediabile processo distruttivo.

Matteo Dalena
Matteo Dalena

Storico con la passione per la poesia, imbrattacarte per spirito civile. Di resistenza.

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