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CASELLARIO | Storie di lesbiche e puttane antifasciste

Matteo Dalena
Matteo Dalena
Giugno16/ 2016

Giovannina C. ha appena diciassette anni ed è una donna libera. Anni di  briglia fascista non hanno addomesticato la sua predilezione per gli spazi liberi, le gonne corte, le grandi e festose compagnie che al suono d’armonica agitavano fino a sera le campagne attorno a San Cosmo Albanese. Ed è proprio lì, in un piccolo insediamento di zingari nomadi ch’è venuta al mondo nel 1910 da papà Antonio e mamma Antonia. Avrebbe voluto viaggiare Giovannina, conoscere i sacrifici e i movimenti delle proprie genti, vedere il mondo oltre il nero che l’opprime, oltre quel basso fatiscente di Castrovillari in cui un giorno, liberamente, ha deciso di chiudersi per esercitare clandestinamente la professione di meretrice.

Le alcove del sesso tollerato e di regime non sono riuscite infatti a imbrigliare quel suo libero spirito che la porta, ogni giorno, a rivendicare il diritto d’esercizio nelle modalità a lei gradite. La forza pubblica la conosce bene, avendola subita decine di volte: entrano, prendono ciò che vogliono ed escono con la tacita promessa e assicurazione del silenzio. Ma una volta Giovannina non ci sta e la strenua difesa del proprio corpo le causa una denuncia per oltraggio nei confronti di alcuni agenti. Da quel momento è soggetta a vigilanza quotidiana e a suo nome viene istruito per la prima volta un fascicolo nel Casellario politico centrale. Gli affibbiano l’infamante etichetta che le preclude la possibilità di vivere una vita e degli amori normali. Giovannina è “donna di cattiva condotta morale” e ciò basta per la riprovazione morale di (quasi) tutto il paese. Quasi vicina è la morte civile, ma se tale è il gioco, tanto vale giocare.

Il 2 gennaio del 1928 alle ore 23 l’alcova di Giovannina pulsa sesso e libertà. Spiriti ed amorosi effluvi invadono le lenzuola avvolgenti tre corpi. Gemiti e risa si odono fino in fondo alla strada dove qualcuno è appostato con fare furtivo. Nel bel mezzo del bagno di piacere dalla stanza di Giovannina si levano i primi versi di “Bandiera rossa” seguiti da un corale: “Abbasso Mussolini”. L’irruzione è subitanea. Tradotta in questura Giovannina viene schedata come donna di sentimenti antifascisti e pur assolta per insufficienza di prove, verrà proposta alla commissione provinciale per un’ammonizione giudiziale.

Sono in tutto 38 le donne nate in Calabria schedate nel Casellario Politico Centrale, dal 1894 “grande occhio dei governi” perennemente puntato sulle inclinazioni politiche di centinaia di migliaia di italiani considerati pericolosi per la stabilità e l’ordine interno.

Tra le 26 antifasciste colpisce la storia di Margherita I., una maestrina di matematica dalla penna vibrante. Gli insegnamenti del padre Carlo, socialista e medico condotto di Civita l’hanno instradata verso la sovversione sistematica di un regime che le impedisce di ricongiungersi al fratello Guglielmo, noto anarchico arruolato nelle milizie rosse spagnole, ma soprattutto alla “cara Cheluzza”.

«Non vedo l’ora di abbracciarti, di fuggire, fuggire, fuggire dall’Italia. Pur d’imbarcarmi e lasciare l’Italia mi metterei anche in un piroscafo che portasse nel fondo del mare. Ohi certo il fondo del mare è più bello del fondo d’Italia».

A separare Margherita I. da Rachele L. è un oceano, a unirle fiumi di parole versate freneticamente su carta sistematicamente passata al vaglio di una censura al corrente di ogni sua mossa. Così il 24 aprile del 1938, a pochi giorni dalla visita di Hitler in Italia, questa maestrina di matematica dalla penna troppo ardita, è sottoposta a fermo preventivo in quanto «donna di sentimenti antifascisti ed antitaliani». Le lettere di Margherita, così piene di rancore, turbano il capo divisione della polizia politica impegnata a garantire la sicurezza della macchina organizzativa attraverso arresti preventivi degli elementi più pericolosi. Scarcerata il mese successivo Margherita inoltra regolare richiesta per ottenere il passaporto ma la pratica improvvisamente s’inceppa tra le maglie del sistema:

«Le persecuzioni politiche infieriscono terribilmente su di me, il veleno dei persecutori mi vuole chiudere tutte le strade – scrive Margherita a Rachele  – hanno messo ostacoli a tutti i miei passi, come mi negano i soldi del comune, così mi negano la laurea e così mi impediscono la strada per venire ad abbracciare te».

Foto segnaletica di Margherita I., maestra d’idee avverse al regime

Medita il suicidio Margherita che si sente «soverchia del mondo» per quell’improduttivo “galleggiare” tra Civita e Torre del Greco senza speranza di un’occupazione, “bannata” a vita da quel lavoro che è dignità. Ma la forza di questa piccola sovversiva calabrese sta nel “miracolo” che ogni giorno compie «nel sapere scegliere il buono anche in mezzo al sudiciume ch’è l’Italia». La Resistenza degli affetti si compie così «in base a due forze: una è la educazione di Papà e l’altra è rappresentata dal tuo affetto e dalle tue cure». Margherita ama “Cheluzza” e nell’ultima lettera le promette eterno amore con un commovente «tua per sempre». Un anno dopo questa maestrina dalle «idee avverse al regime senza propaganda» prende posto nella terza classe del piroscafo “Rex” direzione New York – Bronx.

L’amore ha spezzato la briglia del Duce.

Matteo Dalena
Matteo Dalena

Storico con la passione per la poesia, imbrattacarte per spirito civile. Di resistenza.

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