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IJF16 | Gli occhi di Canan Coskun nell’ora d’aria dei giornalisti turchi

Giovanni Culmone
Giovanni Culmone
Aprile18/ 2016

Canan Coskun ha negli occhi il timore di un inglese stentato, non vorrebbe stare a Perugia oggi. È la prima volta che fa un’esperienza del genere: parlare di giornalismo fuori dalla sua Turchia. I riflettori sono tutti per lei e per un attimo si potrebbe anche invidiarla, ma va subito al cuore del problema: ha solo 29 anni e rischia di passare i prossimi 23 in prigione. Ma questa non è la storia di Canon, questa è la storia della morte annunciata del giornalismo turco.

Il 19 febbraio 2015 Canon ha scritto un articolo dal titolo “Controversa vendita di abitazioni in magistratura”, che indagava l’acquisto da parte di alcune figure di spicco della politica turca di appartamenti di una società immobiliare pubblica a prezzi stracciati. Per aver precisato i nomi nell’articolo è stata accusata di “insulti a pubblici ufficiali”. La sua storia dovrebbe essere un’anomalia, è invece la normalità dell’informazione turca. È lei stessa a confermarlo alla plateaPoco più di un mese fa del resto fece scandalo la vicenda dello Zaman, principale giornale turco di opposizione: nel giro di due giorni la polizia turca fece irruzione nella sede del giornale, che venne commissariato il giorno successivo e tornò in edicola dopo due giorni con una linea editoriale filogovernativa. Un’azione perfettamente organizzata e nemmeno  un episodio singolo, ma solo quello che ha avuto più risonanza mediatica.

grafico turco

Secondo il Mapping Media Freedom sono 212 i casi di violenza ai danni di giornalisti in Turchia dal 2014 ad oggi. Kadri Grusel è uno di questi: la mattina del 22 luglio 2015 scriveva il tweet “È vergognoso che leader esteri chiamano e consolano la persona che è il principale responsabile del terrore dell’ISIS”. La sera dello stesso giorno veniva licenziato dal suo giornale, il Milliyet. La repressione alla libertà di stampa non è qualcosa di astratto: si basa su numeri degli arresti, dei morti e sulle condizioni con le quali i giornalisti sono costretti a lavorare. Ma sopratutto la repressione ha una causa. Secondo il giornalista di Al Jazeera Peter Greste è una conseguenza che va rintracciata nell’11 settembre 2001 e nella successiva guerra al terrore che Washington ha dichiarato al mondo. In buona sostanza, se prima di allora i giornalisti erano considerati osservatori neutrali degli eventi, sarà George W. Bush ad inaugurare la politica manichea del “sei con noi o contro di noi?”.

Una domanda dalla quale non si torna indietro e alla quale nemmeno i giornalisti hanno potuto astenersi, diventando conseguentemente “soldati di terra involontari” e quindi target. Dopo l’11/9 i giornalisti hanno iniziato a morire non per quello che scrivevano o raccontavano, ma per quello che rappresentavano. E se la guerra al terrorismo non è una guerra tradizionale, perché il terrorismo è qualcosa di astratto, è un’idea, la guerra al terrorismo è una guerra di idee. Le idee costituiscono però il campo dei media ed basta ridefinire la parola terrorismo includendo qualsiasi forma di opposizione per occupare quello spazio che poco tempo fa chiamavamo libertà di stampa.

La Turchia oggi è la Washington di quindici anni fa. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan non può far altro che ringraziare l’epifania dell’Isis che ha permesso, anche a lui, di dichiarare una guerra astratta che di concreto ha solamente l’elevato numero di giornalisti che ne sono rimati vittime. La situazione del giornalismo in Turchia non è stata mai facile, ma se prima si poteva parlare di un’indipendenza dei media dalla politica oggi le proprietà dei giornali sono direttamente collegate al potere. 7 titoli di giornale e 16 titoli di editoriale identici lo stesso giorno ne sono la prova più eclatante. “Non ci uccidono apparentemente, ma ci condannano alla fame e ad essere esclusi per sempre dai circuiti mediatici” afferma con rabbia Kadri Gruselper questo non saremo mai grati ad Erdoğan per non uccidere giornalisti”.

Dove muore il giornalismo nasce la propaganda.

(ha collaborato Marco De Laurentis)

Giovanni Culmone
Giovanni Culmone

Il giorno che il direttore mi invierà su Tralfamadore mi sentirò realizzato. Farò foto e video di quel paradiso. Mi piace la fotografia analogica e il rovescio a una mano: mi piacciono le cose complicate.

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