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XYLELLA FASTIDIOSA | Indagine su un batterio al di sotto di ogni sospetto

Giuseppe Putignano
Giuseppe Putignano
Maggio11/ 2016

È come passeggiare nel futuro più temuto. Vito, studente di Agraria all’Università di Bari, vaga avvilito tra ulivi mutilati, secchi e morti; il lembo di terra che ora dovrebbe essere verde è grigio.

Accarezza le foglie e spiega:

Questa pianta potrebbe essere sana, ma il mandorlo è una specie ospite, se succede qualcosa di imprevedibile negli sterminati passaggi del ciclo biologico, ad esempio un cambiamento climatico favorevole al batterio, può fare la fine degli ulivi”.

Contrada Li Sauli, tra Gallipoli e Taviano, una fetta di Salento che si fa arida e piena di vita d’estate e che invece adesso annaspa immobile nella solitudine di un inizio primavera mite, come ogni anno, ma presago di tormenti come mai prima. Siamo a due passi dal Samsara, la discoteca della movida salentina con il nome di una dottrina buddhista che si potrebbe tradurre volgarmente in caos irrefrenabile.

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È qui che per la prima volta, nell’autunno 2013, è stata riscontrata la presenza di Xylella fastidiosa, un batterio delle piante esotico mai osservato prima in Europa. Si tratta di un killer piuttosto subdolo, difficile da identificare, che altera gravemente le piante ospiti fino a provocarne la morte. Il tramite del contagio è invece un piccolo insetto vettore, la sputacchina (al secolo Philaenius spumarius), non contaminato di per sé, che è invece diffusamente presente nel nostro territorio.

Secondo molti la xylella è stato il detonatore nel complesso di cause che hanno portato ad un essicamento rapido dell’ulivo, il Co.di.Ro., un acronimo che indica la malattia che sta uccidendo lentamente gli ulivi secolari del Salento, in quella che è stata definita come “la peggior emergenza fitosanitaria al mondo“, perché minaccia il paesaggio e l’economia di un’intera regione e rischia di diffondersi in tutto il continente.

Se esiste un punto di partenza possibile per districarsi nella matassa imbarbarita dell’emergenza xylella in Puglia, è indubbiamente questo campo di ulivi arresi alla vita.

C’è solo un punto da tenere sempre bene a mente – ci spiega ancora Vito passeggiando calmo in mezzo alle piante – l’uomo è lontano dal conoscere tutti i fenomeni e le interazioni biologiche possibili”.

Il tentativo di questo articolo è quindi solamente quello di individuare un punto di partenza per comprendere una questione complessa e rispondere ad una domanda essenziale: gli alberi stanno morendo?

1.

Scienza e giustizia

Esistono molte divergenze nella comunità scientifica, impossibili da catalogare in un singolo articolo, ma almeno sul fatto che il batterio Xylella fastidiosa sia arrivato in Puglia (e tra l’altro anche in Corsica), sono tutti d’accordo.

Secondo i ricercatori del CNR di Bari e dell’Istituto Basile – Caramia di Locorotondo, xylella è stata introdotta in Puglia in un “evento unico”, forse una partita di oleandri ornamentali proveniente da Costa Rica, transitata dall’Olanda senza i controlli necessari. Xylella fastidiosa è inoltre provatamente un patogeno da quarantena (come da certificazione europea Eppo) e il rischio contaminazione, oltre la zona già dichiarata infetta della provincia di Lecce e parte di quella di Brindisi, è concreto. C’è anche una nuova ricerca dell’Efsa, pubblicata lo scorso 29 marzo, che conferma la tesi della xylella causa esclusiva della malattia degli ulivi.

Inoltre, ed è un punto chiave per comprendere l’intera questione, anche se xylella non avesse alcun ruolo nella malattia che porta all’essicamento rapido gli ulivi salentini, e gli ulivi ne fossero “portatori sani”, andrebbe combattuta ed estirpata ugualmente, poiché si tratta di un batterio pericoloso, in grado di contaminare e devastare diverse specie di piante. Non lo dicono gli scienziati italiani, ma lo dimostrano le evidenze storiche: gli agrumeti brasiliani sono stati devastati a partire dal 1994 e ancora oggi dalla CVC, la clorosi variegata degli agrumi, di cui Xylella fastidiosa è stata provatamente causa.

Ma se cosi fosse, quale sarebbe la soluzione proposta dagli scienziati baresi? Per impedire che si diffonda in tutto il Salento e oltre, bisognerebbe abbattere tutti gli alberi infetti e potare radicalmente tutti quelli limitrofi. E non è detto che questo basti a fermare la contaminazione. Una posizione dura, ma orientata al recupero delle piante. Gli olivi ricrescono in fretta, fra tre-quattro anni gli olivicoltori colpiti dalle potature potrebbero tornare ad ottenere il frutto. Certo, sarebbero tre quattro anni difficili, molto difficili.

Qui la questione si infittisce. Il discorso dei cattedratici parrebbe filare, se non fosse che alcuni dei ricercatori che sostengono queste tesi (sette per la precisione, appartenenti al Cnr di Bari e agli istituti di Locorotondo e Valenzano) sono indagati dalla Procura di Lecce per aver violato dolosamente norme in materia ambientale e addirittura diffuso volutamente il batterio. Un’accusa infamante, se falsa, disarmante se vera. Va detto che la Procura di Lecce al momento del via alle indagini, fino allo scorso marzo, era guidata da un magistrato stimato, Cataldo Motta, pubblico ministero nei due maxi processi che hanno affossato la Sacra Corona Unita salentina negli anni novanta. E il procuratore ha annunciato di essere in possesso di controanalisi capaci di confutare gli esiti baresi. A sua volta, la comunità scientifica (qui un appello de Le Scienze) contesta al procuratore Motta la decisione di non aver mai reso pubbliche queste analisi.

 

 2. 

Le teorie del complotto

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A chi credere? È forse impossibile prendere una posizione con i mezzi e i fatti attualmente disponibili alla pubblica opinione, ma questo non ha impedito il proliferare nel Salento, e non solo, di movimenti ambientalisti o di protesta che potrebbero contestare anche tutto quello che avete letto finora. Lo slogan che rappresenta le loro posizioni va per la maggiore nel leccese di questi tempi: “la Xylella n’capu la tiniti”. La xylella l’avete nel cervello.

Oltre alla grave accusa formulata dalla Procura, a istigare i dubbi su una presunta macchinazione occulta dell’intera emergenza xylella ha contribuito soprattutto un episodio ripescato dalle cronache scientifiche, un convegno organizzato da Cost873, un network europeo di scienziati, industrie e specialisti della protezione delle piante, tenutosi nell’ottobre 2010 all’Istituto Agronomico Mediterraneo (IAM) di Valenzano (Bari). Qui i ricercatori convenuti hanno dichiaratamente sperimentato il batterio Xylella fastidiosa, originario del Sud America, sulle piante locali, introducendolo di fatto nel territorio pugliese per motivi di studio e prevenzione.

Di questo meeting si trova traccia sul web, dove è presentato con questa introduzione: “Attualmente, questo patogeno devastante (Xylella fastidiosa, ndr) non è mai stato riscontrato in Europa. Tuttavia, un vero e proprio rischio di invasione latente esiste perché questo parassita obbligato può infettare una gamma straordinariamente ampia di piante ospiti (vite, agrumi, drupacee, piante ornamentali), molti dei quali non sono normalmente esaminati per Xylella”.

Considerato ciò che sé successo in Puglia nei successivi sei anni, si tratta di una preveggenza quantomeno sinistra. Per dovere di cronaca, bisogna tuttavia costatare che a Valenzano e dintorni non vi è mai stato alcun caso di pianta infetta e che tra Valenzano e il focolaio più vicino di xylella, Oria nel brindisino, corrono circa 90km in linea d’aria.

Questo episodio ha, lui sì fuori da ogni dubbio, generato la diffusione di numerose teorie del complotto. In dubbio è stata messa la stessa presenza del batterio Xylella fastidiosa in Puglia. Uno dei più agguerriti movimenti ambientalisti, Spazi Popolari, sostiene addirittura che l’essiccamento degli ulivi dipenda da funghi tracheomicotici, storicamente presenti nel Salento, e che tutto il caso sia stato montato ad arte.

Come accusa la Procura, il batterio sarebbe stato introdotto in maniera fraudolenta dai ricercatori, o comunque una volta riscontrato sarebbe stato combattuto con mezzi inappropriati e deleteri, estirpazioni e fitofarmaci, che comporterebbero la distruzione di buona parte del patrimonio olivicolo salentino. Tutto sarebbe stato manovrato da indefiniti attori occulti, interessati per diverse ragioni alla distruzione delle piante: se per mezzo del batterio o tramite l’estirpazione selvaggia giustificata dalla sua presunta presenza, poco importa. Ma chi sarebbero questi manovratori?

Vi sono diverse teorie. Eccone una breve summa:

  • c’è la mano delle multinazionali dell’olio (Monsanto su tutte);
  • c’è la regia occulta dei costruttori del gasdotto Tap, che vogliono rovinare il paesaggio salentino;
  • c’è l’interesse dei grossi palazzinari a liberarsi degli ulivi secolari, per legge inestirpabili, per costruire alberghi e complessi turistici;
  • al contrario, c’è un interesse diffuso a danneggiare l’immagine del Salento, unica zona turistica d’Italia in costante crescita.

Tutte queste teorie presuppongono la malafede dei ricercatori che si sarebbero prestati alla noncuranza o alla contaminazione volontaria delle piante, e che oggi mentirebbero sui risultati delle ricerche, per avidità di finanziamenti e per indicibili dinamiche interne alle guerre tra bande della comunità scientifica.

Bisogna tenere conto di tutto questo, senza pregiudizi, e allo stesso tempo osservare lo sguardo di Vito mentre scruta gli alberi più lontani e immagina un futuro prossimo in cui potrebbero non essercene più. Perché al di là di ogni causa, colpa, sospetto e guru improvvisati che pubblicano sul web foto di piante miracolosamente resuscitate, gli alberi stanno morendo e non si può non vederlo.

 

3.

Tanti piccoli Pirro

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Figuriamoci se questo samsara (nell’accezione di irrefrenabile caos, dicevamo) poteva essere governato e non aggravato dalla politica. All’inizio del problema, nel 2013, la Regione e lo Stato hanno delegato le decisioni all’Unione Europea e questa ha imposto brutalmente quanto previsto dalla normativa Eppo: eradicazioni e trattamenti con fitofarmaci (quelli composti da agenti chimici) per contenere l’infezione in una zona di quarantena. Il governo Renzi ha quindi nominato un commissario speciale per l’emergenza, il capo della Guardia Forestale regionale Giuseppe Silletti, che ha imbastito in fretta un piano d’emergenza che applicasse le direttive europee. A Silletti è stato contestato di non aver cercato un confronto con la popolazione e i proprietari degli ulivi, né fatto chiarezza sulla giustificazione scientifica delle proprie azioni. Associazioni e singoli cittadini hanno quindi inondato di ricorsi il Tar e il Consiglio di Stato. Nel frattempo il Piano è stato modificato in base a nuove risultanze scientifiche e infine sospeso quando la Procura di Lecce ha posto sotto sequestro tutte le aree interessate dai provvedimenti e indagato, tra gli altri, lo stesso Silletti. L’esito paradossale è che oggi ogni azione di contenimento del batterio è ferma, in attesa del pronunciamento della Procura, e molti ne gioiscono, circondati dalle carcasse degli alberi.

A queste condizioni, in cui nulla appare certo e nessuno si preoccupa di spararla troppo grossa, nella ricerca scientifica pugliese inizia a farsi strada (senza tuttavia ancora esporsi ufficialmente) l’indiscrezione di un allarme chiaro. A prescindere dalle cause, se non facciamo nulla, il 70% degli ulivi pugliesi rischia di morire. Vito ascolta questa ipotesi e guarda un’ultima volta gli alberi mozzi e piagati. Non se la sente di negare, né di annuire.

Giuseppe Putignano
Giuseppe Putignano

Pugliese cocciuto sostenitore della tesi che si possa lavorare scrivendo solo di ciò che ti piace. E’ un giornalista pubblicista ma, così facendo, non lo resterà a lungo.

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