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REPORTAGE | «Aspettando Como»

mmasciata
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Agosto18/ 2016

di Greta Bisello

La notizia più attesa degli ultimi due mesi e mezzo arriva nel tardo pomeriggio di un mercoledì di metà estate. Mauro Lucini, sindaco della città di Como, convoca una conferenza stampa congiunta col prefetto Bruno Corda e annuncia di voler smantellare la tendopoli antistante alla Stazione San Giovanni per allestire, un chilometro più avanti, un’area in grado di ospitare 300 migranti. Una soluzione finalmente strutturale, insomma. Nel parco però, senza docce e con quattro bagni chimici, vivono attualmente in numero di 500, tra bambini, donne e uomini. Qualcuno rimarrà escluso ed è necessario stabilire chi e quali saranno i criteri selettivi.

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È una giornata concitata, fatta di attese spalmate in ore e giorni, sospensioni tipiche di un non-luogo. Ragazzi e ragazze giovanissimi ai quali con difficoltà si riesce ad attribuire un’età precisa, rimangono distesi a terra debilitati dal caldo e dalla mal nutrizione. Un canestro da basket attaccato ad un ramo e un pallone di pezza scucita permettono ai più attivi ed entusiasti di improvvisare una Rio in salsa comasca. Ritorna in maniera ossessiva e in un inglese zoppicante la stessa domanda, figlia di una narrazione menzognera: “news from Switzerland”? Ma dal confine, che dista pochi chilometri, non è in viaggio alcuna risposta. Il silenzio che rimbalza da quel muro di gomma sembra pregno di speranze mal riposte. Una distanza ironicamente breve e un percorso che i migranti conoscono ormai alla perfezione. Infatti da giorni ogni giorno tentano di superare la frontiera e puntualmente vengono respinti dalle forze dell’ordine che nelle migliori ipotesi li respinge a Como, oppure li trascina ancor più a sud, in territorio tarantino.

Non c’è nemmeno il tempo per acquisire i riferimenti spaziali indicati sulle cartine distribuite al campo che è subito necessario dimenticarle in favore di un imprecisato altrove nel quale coattamente verranno condotti.

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Le ore si fanno sempre più calde, riusciamo ad avvicinare un ragazzo che non vuole farsi riprendere il volto, richiesta di tutti. Così come indicano i cartelli che a fatica si reggono ai tronchi e che recitano no foto ai volti! – no face pictures! I fotografi che si aggirano famelici per il campo non percepiscono l’esclamazione, tanto che anche i volti dei numerosi minori presenti finiranno per essere impressi su pellicola.

Stop interview if you don’t help us – ci dice un altro ragazzo -,  non sono più gradite nemmeno le domande, la pazienza è al collasso. Lapidarie queste parole arrivano scardinando l’idea che interessarsi sia talvolta l’unico strumento disponibile per un aiuto concreto. Le parole però iniziano ad uscire senza pause, la forza dell’ingiustizia rompe il muro di reticenza iniziale e tutto prende forma: un viaggio affrontato in solitaria poiché troppo costoso, diciotto anni, la speranza di un futuro migliore, il sogno di una Germania salvifica, una famiglia abbandonata e dalla quale non è possibile tornare. Nessun ricongiungimento da portare a compimento, non ci sono braccia aperta o mani tese ad attenderli al confine.

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Sono soli al mondo.

Passeggiando per il campo diversi dialetti si intrecciano. Gli interpreti fanno fatica a soddisfare le richieste di ognuno, non solo non hanno risposte, ma talvolta non capiscono le domande. L’inglese perde il suo potere aggregante e non sembra poter far da panacea, non qui almeno. Ci si intende poco e allora ci si limita a guardarsi. Da un’automobile tuona un sonoro “tornatevene a casa vostra!”, canzone che noi conosciamo confidando rimanga solo una nota stonata alle orecchie dei ragazzi.

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Deve per forza esistere un orario per sentirsi male; questo non è quello giusto. Una bambina, avrà avuto 10 anni, si accascia a terra come un corpo morto. Alcuni uomini creano una barella improvvisata con le proprie braccia scalando due a due la gradinata per raggiungere il presidio disposto in cima, di fronte la stazione: è chiuso. I poliziotti chiamano il soccorso, che arriva dopo venti minuti di gambe alzate e sventolii che non riescono a rianimare la piccola. Non accenna al movimento e non riapre i suoi piccoli occhi, è immobile, sfinita e arresa. “Diteci almeno dove la trasportate!”, prega i paramedici un volontario che già prevede cosa sta per succedere. Gli immigrati non comprendono cosa sta accadendo, non accettano il distacco, inseguono l’ambulanza, l’accerchiano.

Il padre come tutti i padri del mondo, non vuole separarsi da sua figlia.

La sirena sfreccia imboccando la via panoramica di Como. Portandosi via ogni notizia. Una giovane volontaria tiene un sacco nero e provvede a pulire il campo, a mani nude. Camminando sul prato dispensa sorrisi ogni qualvolta alza la testa, per addolcire l’amarezza accumulata insieme ai rifiuti di fine giornata.

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Il collettivo Mmasciata è un movimento di cultura giovanile nato nel 2002 in #Calabria. Si occupa di mediattivismo: LA NOSTRA VITA E' LA NOTIZIA PIU' IMPORTANTE.