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PLAN CONDOR | Desaparecidos, il giorno del giudizio

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Gennaio16/ 2017

AGGIORNAMENTO (17 Gen.) | Otto condanne all’ergastolo, 19 assoluzioni e sei non luogo a procedere per morte degli imputati. E’ questa la decisione della III Corte di Assise di Roma presa a conclusione del processo sul cosiddetto piano Condor. I condannati all’ergastolo avevano cariche di rilievo nei rispettivi paesi d’appartenenza, fra gli assolti anche Jorge Troccoli, l’unico imputato residente in Italia.

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Verso le ore 17 del diciassette gennaio 2017 è il momento, singolare e per alcuni versi storico, in cui si attende la sentenza di primo grado del maxiprocesso al “plan Condor”, che mette in fila i crimini perpetrati dalle dittature dell’America Latina tra gli anni 70′ e 80′ del secolo scorso. Alla sbarra nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, saranno 34 gli imputati, interpreti a diversi livelli di un piano di coordinamento militare studiato sotto l’egida dei servizi segreti statunitensi per far sparire gli oppositori politici in quegli stati dove l’influenza socialista e comunista era ritenuta troppo ingombrante. I crimini per i quali il pubblico ministero Tiziana Cugini ha chiesto 27 condanne all’ergastolo e un’assoluzione sono il sequestro e l’omicidio di 42 giovani, tra cui 20 italiani, avvenuti in Cile, Argentina, Bolivia, Brasile e Uruguay tra il 1973 e il 1978.

Per gran parte di queste storie il corpo dei protagonisti non è mai stato trovato. Storia di desaparecidos, come Luis Stamponi, italo argentino originario di Ancona citato più volte nei diari del “Che” Ernesto Guevara. Il governo del dittatore Banzer lo catturò in Bolivia nel 1976 e dopo averlo torturato lo diede in consegna alla gendarmeria argentina. È a quel punto che la sua storia annega nel mistero, lo stesso che tocca alla sua coraggiosa madre, la 64enne Mafalda Corinaldesi, che nella prima notte di soggiorno all’Hotel Esmeralda di  Buenos Aires, con l’intenzione al mattino di recarsi dalle autorità locali, verrà prelevata da tre agenti della Polizia Federale e fatta sparire. Drammi di madri coraggio ricostruiti in decenni di audizioni, a volte con clamorosi colpi di scena. Come quello toccato alla signora René D’Elia Pallares, che per la dittatura perse le tracce di suo figlio e di sua nuora appena sposati, ma che nel processo ha trovato quelle del nipote, nato nel centro clandestino di tortura dove i suoi genitori furono uccisi e poi adottato da un ufficiale della Marina argentina.

Di questi crimini di lesa umanità sono accusati componenti delle più alte gerarchie dei regimi militari dell’epoca, e fra di loro ce n’è uno con passaporto italiano: si tratta di Jorge Troccoli, accusato del sequestro e dell’omicidio dei coniugi D’Elia Pallares e di altri 23 uruguaiani. L’ex tenente colonnello vive da molti anni nel Sud Italia, dopo aver scampato il processo al suo paese. Nel dibattimento iniziato due anni fa a Roma in seguito al rinvio a giudizio chiesto e ottenuto dal magistrato Giancarlo Capaldo, è accusato anche di aver recluso e torturato Aida Celia San Fernandez «applicandole la picana elettrica, anche mediante l’intrusione in vagina di un cucchiaio che le provocava il parto prematuro della figlia Maria de las Mercedes Carmen Gallo, nata nel corso della prigionia il 27 dicembre 1977».

Troccoli nelle sue rare apparizioni e tramite i suoi legali si è sempre detto innocente, dicendo di aver solo eseguito ordini in operazioni di interrogatorio che, è verità storica, sono noti per le crudeli torture. Dopo 40 anni , in Italia, nel paese in cui torturare non è reato, un giudice è finalmente chiamato a stabilire la verità.

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".

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