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STAY HUMAN | Myanmar, cronache di un genocidio

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Marzo03/ 2017

AGGIORNAMENTO | 5 aprile 2017 – La leader birmana Aung San Suu Kyi in un’intervista alla Bbc ha finalmente risposto alle domande che da mesi le rivolge il mondo,  negando la pulizia etnica ai danni della minoranza musulmana Rohingya. Suu Kyi ha parlato semplicemente di “problemi nello stato di Rakhine” dove vive la maggior parte della popolazione Rohingya, ma ha definito “pulizia etnica” un’espressione troppo forte da usare.

Myanmar bazar cox

Bazar di Cox, rifugiati Rohingya in Bagladesh ©UNHCR/G.M.B.Akash

Un bambino Rohingya giace riverso nel fango, è morto a faccia in giù nel fiume, provava a scappare dalle pallottole. Un altro è stato freddato perché non la smetteva di piangere mentre le divise stupravano la madre e le sorelle. Corpi come i loro sono stati visti bruciare nei roghi lasciati nei villaggi. Yanghee Lee, inviato delle Nazioni Unite è scioccato dai racconti, sorpreso da una situazione ben peggiore di quella che si aspettava di trovare. Visitando il campo profughi al Bazar di Cox, in Bangladesh, ha messo insieme decide e decine di testimonianze sugli indicibili crimini che da mesi avvengono al di là del confine, in Myanmar. La documentazione finirà nel rapporto ufficiale che verrà presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra il 13 marzo, ed è fra i contributi indipendenti che hanno convinto il Tribunale Permanente dei Popoli che non è più tempo di aspettare.

L’alto organo di opinione è stato convocato lunedì sei marzo alla Queen Mary University di Londra per una due giorni di lavori sulla condizione in Birmania, paese a maggioranza buddista, delle minoranze etniche Kaichin e Rohingya, di religione musulmana, che da mesi denunciano persecuzioni etniche per mano dell’esercito birmano. La prima sessione di udienze, i cui lavori nei prossimi mesi continueranno negli stati Uniti e poi in Malesia, prevede la partecipazione di esperti come Denis Halliday, ex segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite e vincitore del Premio Gandhi. Gianni Tognoni è segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, l’organismo internazionale fondato sulla scorta del Tribunale Russell dal padre costituente Lelio Basso a Bologna nel 1979 per promuovere e difendere il rispetto dei diritti dei popoli.

Il governo guidato da un Nobel per la Pace accusato di genocidio: cosa non torna?

Anche comprendendo la delicata fase di transizione che sta vivendo il Myanmar, quello che più impressiona è proprio il silenzio di Aung San Suu Kyi. Sollecitata da un appello (leggi qui, ndr) di numerosi suoi colleghi Nobel ha saputo solo definire false le inchieste di organismi internazionali e annunciare il lavoro di commissioni interne che purtroppo la mostrano agli occhi del mondo sempre più dipendente dai militari”.

Gia
Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli

 

Cosa si prefigge di ottenere il Tribunale Permanente dei Popoli su questa vicenda?

Come fatto in passato vuole farsi carico del dolore di un popolo e trasferirlo al mondo. La corposa documentazione e le testimonianze raccolte hanno la coerenza che ci fa dire di essere davanti a qualcosa di molto grave. Nei prossimi mesi daremmo spazio a tutte le versioni, portando la questione agli occhi della comunità internazionale che purtroppo in mancanza di un diritto internazionale efficace è ormai ridotta al ruolo di spettatrice. C’è la brutta sensazione che si fa finta di non sapere fino in fondo, magari in attesa che tutto finisca. Invece non si può rinunciare all’idea che si può e si deve fare qualcosa”.

Fra gli arresti del governo birmano nella regione ci sono sarebbero militanti dell’Isis.

Sì, questo può diventare un problema. Questa zona di confine si sta dimostrando una zona di aggancio per il terrorismo internazionale, che tenta di impadronirsi della disperazione come ha sempre fatto nella storia quando il diritto non ha saputo precederlo”.

———–>Il reportage del New York Times

Secondo le stime dell’Onu solo nelle ultime settimane oltre 65mila persone Rohingya hanno lasciato il Myanmar, trovando rifugio oltre il confine con il Bangladesh. Questa popolazione, da sempre fra le più povere della terra e senza riconoscimenti di cittadinanza, sta lasciando in massa i villaggi in seguito alla dura repressione avviata dall’esercito birmano, decisa in seguito ad alcuni attentati organizzati negli ultimi mesi da gruppi indipendentisti che chiedono maggiori autonomie per lo stato che si trova nell’ovest del paese. Repressione portata avanti con una serie di crimini internazionali commessi contro la popolazione in modo indistinto, falcidiando il futuro di donne e bambini innocenti. Tutto nell’assordante silenzio della comunità internazionale e di Aung San Suu Kyi un premio Nobel per la Pace che de facto è primo ministro del Paese e che per molti anni è stata simbolo indiscusso dei diritti umani nel mondo.

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".