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MARACANÀ | Rachid, che alla Coppa preferì la Casbah

Camillo Giuliani
Camillo Giuliani
Aprile06/ 2014

Sempre più vicino il Mondiale brasiliano di calcio, continuiamo a percorrere le storie dimenticate dei personaggi che con il pallone fra i piedi hanno cambiato la società. La rubrica MARACANA’ ritorna con una storia di coraggio e slancio ideale, quella del grande algerino Rachid Mekhloufi, che al giocare per la Coppa del Mondo preferì spendersi per la guerra d’indipendenza del suo Paese.

 

mekhloufi

 

di Camillo Giuliani

Svezia, 28 giugno 1958 – Just aveva appena realizzato il suo tredicesimo goal al Mondiale, ma non riusciva a togliersi dalla testa la partita di quattro giorni prima. Anche quella volta aveva segnato, ma non era bastato per vincere la semifinale: pochi minuti dopo la sua rete, Vavà aveva rotto una gamba allo stopper Robert Jonquet e la Francia s’era ritrovata a giocare in dieci per un’ora abbondante. Il Brasile li aveva massacrati e quel ragazzino di diciassette anni che chiamavano Pelè alla fine aveva messo dentro una tripletta. Forse con Robert in campo le cose sarebbero andate diversamente. Ma quello che era davvero mancato ai Bleus – pensava Just – era Rachid, il re delle sorprese. Lo chiamava così il suo allenatore del Saint Étienne, perché in mezzo al campo inventava sempre la giocata che nessun difensore si sarebbe aspettato. Ma la sorpresa più grande Rachid l’aveva riservata ai suoi compagni di nazionale due mesi prima, scappando in Africa per andare a fare la rivoluzione.

Algeria, 8 maggio 1945 – I nazisti hanno alzato bandiera bianca, la guerra è finita. A Sétif un gruppo di indipendentisti scende in piazza sventolando bandiere algerine. I gendarmi francesi sparano, scoppia il finimondo. Da un lato, i pied noirs armati di fucili; dall’altro i musulmani con pietre, coltelli e qualche molotov. Muoiono un centinaio di europei e la rappresaglia francese passerà alla Storia come “il massacro di Sétif”. Ci vogliono giorni prima che termini il caos, i militari hanno sete di sangue: migliaia di algerini vengono trucidati, tanti non avevano nemmeno partecipato alla rivolta. Parigi dirà che i caduti sono 1020, Radio Cairo parlerà di 45000. Rachid è tra quelli che sopravvivono, ma il ricordo della strage gli resterà sempre, indelebile, nella memoria. È solo un bambino di nove anni che fino a quel momento ha passato le sue giornate tirando calci a un pallone. Sembra nato per farlo. Nel 1954, appena maggiorenne, va in Francia e firma con il Saint Étienne. Rachid – che di cognome fa Mekhloufi – ci mette poco a mettersi in mostra da quelle parti, ha due bacchette magiche al posto dei piedi. Illumina il gioco coi suoi passaggi e davanti alla porta non perdona: nelle prime 102 partite con i Verts segna 59 goal. In tre anni porta a casa uno scudetto più un titolo mondiale con la nazionale militare francese. Nella primavera del ‘58 Rachid sa già che a giugno lo aspetta una maglia da titolare dei Bleus ai Mondiali in Svezia. Lui, che deve ancora finire il servizio di leva, sarà la stella della squadra con l’idolo del Bernabeu Raymond “Napoléon” Kopa, un metro e sessantotto di classe pura, più Just Fontaine, il bomber di Marrakech.

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Svizzera, 12 aprile 1958 – In una stanza del ritiro del Saint Étienne, a Ginevra per un’amichevole, squilla il telefono. All’altro capo del filo c’è Moustapha Zitouni, anche lui algerino, difensore del Monaco e della Francia; dice a Rachid che anche gli altri sono d’accordo e che l’appuntamento è a Tunisi, due giorni dopo. È il segnale che Rachid aspettava da tempo: bisogna passare il confine svizzero e ritrovarsi a Roma. A Ciampino c’è un volo per la Tunisia che attende lui e altri quattro suoi connazionali che militano nel campionato d’Oltralpe; altrettanti compagni arrivano all’aeroporto romano passando da Imperia. L’unico a non superare la frontiera è il ventiduenne Mohamed Maouche dello Stade de Reims: anche lui, come Rachid, fa il militare e, per il suo tentativo di fuga, sconterà 40 giorni di prigione e 14 mesi di libertà vigilata prima di potersi ricongiungere ai compagni nel ‘60. L’Equipe titola in prima pagina: “Nove giocatori algerini sono spariti”, ma non spiega il perché. A quello pensano i fuggitivi: stanno per fondare la squadra di calcio del Fronte di Liberazione Nazionale, tornano in patria per sostenere la causa della rivoluzione. Per alcuni di loro significa dire addio al Mondiale, per tutti il divieto di rientrare sul territorio francese, ma non importa. L’idea è nata qualche anno prima, dopo una partita di beneficenza che ha visto una selezione di giocatori nordafricani della Ligue imporsi sui Bleus per 3-1, il protrarsi della Guerra d’Indipendenza ha fatto il resto. Ha organizzato tutto Mohamed Boumezrag, un ex calciatore che ha passato mesi a contattare i possibili interessati di nascosto. Il reclutamento clandestino non è stato poi così difficile, si dice che a quei tempi quasi tutti gli algerini che giocavano in Francia devolvessero il 15% del loro stipendio al Fln. Da Parigi la federazione francese fa pressioni sulla Fifa e il 7 maggio ottiene che la nascente nazionale algerina non ottenga il riconoscimento ufficiale. Di più: chiunque accetti di giocarci contro sarà escluso dalle competizioni internazionali. Il giorno dopo, però, la squadra del Fln esordisce sfidando la Tunisia di fronte a ottomila spettatori e le rifila 5 goal. Per gli avversari scatta la squalifica, stessa sanzione inflitta a quelli sconfitti nel secondo match: il Marocco. Ma se anche qualche squadra preferisce tenersi alla larga, ci sono Paesi – specie quelli comunisti – che se ne infischiano delle minacce della Fifa, così Rachid e compagni iniziano a portare la rivoluzione negli stadi del mondo.

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Iraq, 25 febbraio 1959 – Allineati a metà campo, undici iracheni e undici algerini aspettano in silenzio che l’arbitro fischi l’inizio della partita. Nello stadio di Baghdad, per la prima volta nella Storia, risuona il Kassaman, la musica che diventerà l’inno di uno Stato che ancora non esiste ma ha già la sua nazionale. L’ambasciatore francese lascia sdegnato la tribuna d’onore, una vittoria più dolce del 4-1 con cui si conclude l’incontro sul rettangolo di gioco. I successi saranno tanti (65 in 91 match, con tredici pareggi e altrettante sconfitte nell’arco del quadriennio 1958-1962), così come le giornate memorabili. La squadra del Fln va a vincere 6-1 al Maracanà di Belgrado contro la Jugoslavia vice campione d’Europa e il maresciallo Tito si complimenta personalmente con tutti gli algerini per quello che stanno facendo. Che non è solo giocare a pallone, ma promuovere la causa anticolonialista e raccogliere fondi per l’esercito indipendentista. “Noi abbiamo battuto la Francia. E dal momento che voi ci avete battuti per 5-0, batterete certamente anche la Francia”, aveva detto a Rachid e gli altri Ho Chi Minh dopo aver visto il suo Vietnam capitolare in amichevole ad Hanoi sotto i colpi della nazionale del Fln nel novembre del 1959. Lo zio Ho magari non capiva granché di pallone ma di guerre coloniali sì, e azzeccò la previsione con due anni e mezzo di anticipo: nel luglio del 1962 l’Algeria ottenne l’indipendenza e i giocatori il lasciapassare per far rientro in Francia.

Francia, 12 maggio 1968 – Rachid è tornato al Saint Étienne da sei anni, stagioni in cui vince altri tre scudetti e, con 192 reti segnate, diventa il più grande goleador della storia del club. Allo stadio Yves-du-Manoir di Parigi, mentre si incammina verso il tavolo della premiazione per alzare la coppa di Francia, sa che quella sarà una delle sue ultime apparizioni con la maglia dei Verts: l’anno dopo vestirà quella del neopromosso Bastia e sarà uno dei pochissimi non còrsi della squadra più indipendentista del campionato transalpino. Al centro del campo il generale De Gaulle stringe la mano ai vincitori e, come di consueto nelle occasioni ufficiali, li ringrazia con questa frase: “La Francia siete voi”. La dice anche a Rachid, che, pur di non essere la Francia, preferì la rivoluzione alla coppa in Svezia. Decenni dopo Mekhloufi racconterà: “I calciatori di oggi si preoccupano solo di denaro e carriera… anche io pensavo alla Coppa del Mondo, ma per me non significava nulla rispetto all’indipendenza del mio Paese”.

Al Mondiale andrà lo stesso, nel 1982, ma da allenatore della sua Algeria.

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Camillo Giuliani
Camillo Giuliani

Giornalista bassista on the road, ritardato a L'Ora della Calabria poi forcaiolo al Garantista. Come Forlani, se qualcuno non avesse avuto l'ardire di servirglielo fritto al ristorante non avrebbe mai saputo dell'esistenza del cervello.

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