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MARACANÀ | Sono el Mágico Gonzalez e dormo finché mi pare

Camillo Giuliani
Camillo Giuliani
Aprile15/ 2014

di Camillo Giuliani

Secondo Maradona il calciatore più forte di tutti i tempi è stato un ragazzo di San Salvador. Per esserlo davvero avrebbe dovuto svegliarsi presto però, e lui non ne aveva nessuna voglia. Aveva sempre troppo sonno, così ha scelto di essere il mago più pigro del pianeta. La storia di Jorge Alberto González Barillas, ultimo di otto figli, è come il West di Liberty Valance, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda. Comincia nel 1958 a San Salvador, capitale di uno dei tanti stati e staterelli dell’America centromeridionale in cui a governare sono i militari. In El Salvador sono decenni bui: guerra civile, povertà, analfabetismo diffuso. La dittatura protegge latifondisti e yankees, mentre qualsiasi voce fuori dal coro – pure quella di un arcivescovo come Oscar Romero, malvisto anche dal Vaticano per aver invocato giustizia sociale per i campesinos – viene messa a tacere con un proiettile. È qui che Jorge tira i suoi primi calci a un pallone. Un fenomeno. La sua abilità con la palla tra i piedi è inversamente proporzionale a quella sui banchi di scuola e pari solo alla sua voglia di divertirsi. “Mi obsesiòn fue ser feliz“, perché per Jorge il futbol è un gioco, il più bello, e rimarrà sempre tale.

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EL MAGO Esordisce nell’Antel di San Vincente ed è con quella maglia che, durante una partita contro il Club Deportivo Aguilas, un radiocronista lo battezza col suo primo soprannome: El Mago. Dai cilindri che porta ai piedi sa estrarre mille conigli: dribbling, tunnel, punizioni a giro, pallonetti e un numero, la culebra macheteada, che oggi molti chiamano “elastico” attribuendone la paternità a Ronaldinho ma che all’epoca era appannaggio esclusivo del baffuto brasiliano Rivelino e di quel ragazzino salvadoregno. Che a 19 anni, nel 1977, fa il grande salto in Primera división, ingaggiato dal Club Deportivo Fas de Santa Ana. Costo del cartellino: 600mila colónes, più o meno un milione di pesetas di allora e 5000 euro di oggi. Vince due campionati, una Coppa dei campioni Concacaf; perde una finale di Coppa interamericana contro l’Olympia Asunción. E, soprattutto, trascina la sua nazionale verso Spagna ‘82. Nella sfida decisiva contro il favoritissimo Messico parte dalla sua metà campo, salta tre avversari come birilli e tira; il portiere respinge, ma sulla ribattuta arriva Hernández che segna a porta sguarnita. El Salvador è ai Mondiali per la seconda volta. La prima? Non un bel ricordo: nel 1969 gli spareggi per la qualificazione erano stati la scintilla della guerra, passata alla Storia proprio come quella “del calcio”, con l’Honduras, quattro giorni di bombardamenti e scontri a terra costati migliaia di vite umane.

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IL MUNDIAL L’esordio allo stadio di Elche è da record, negativo però: El Salvador 1 – Ungheria 10. Sarà l’unico goal salvadoregno in terra iberica, seguiranno una sconfitta di misura con il Belgio e uno 0-2 incassato contro l’Argentina campione in carica. Quando Dino Zoff alza la coppa e la Fifa elegge i migliori undici della competizione, però, nella lista c’è anche il nome del Mago. Ora lo vogliono il Pumas e, in Europa, il Psg, l’Atletico Madrid, la Fiorentina, la Sampdoria. Jorge si alza tardi, dribbla i dirigenti come fa coi difensori e quando gli danno appuntamento per firmare un contratto sfodera la sua migliore magia: sparisce. Ai milioni delle squadre delle grandi città preferisce la tranquillità e l’oceano di Cadice, in Andalusia, e non gli importa che il club militi in Segunda división. Il presidente Manuel Irigoyen si accorda con il Fas: sette milioni di pesetas per un contratto annuale, più altri dodici per trasformarlo in biennale. Un suo ex compagno di quel primo anno gaditano, Hugo Vaca, ricorda il rumore dello stadio quando González prendeva palla vicino alla bandierina del corner: “Era un mormorio che subito diventava un ruggito. Tutti i tifosi aspettavano, mangiandosi le unghie, uniti da quel segreto condiviso. Quella culebrita era la follia del Ramòn de Carranza”. El Mago, adorato da un’intera città come solo Maradona a Napoli, porta subito il Cadiz in Primera división e diventa Mágico. I tifosi gli perdonano tutto, la società idem.

QUANDO LA BANDA PASSÒ Definire Mágico uno scansafatiche, infatti, non farebbe onore alla sua leggendaria pigrizia. Allenamenti? Neanche a parlarne, a meno di non voler considerare le partitelle serali in mezzo alla strada con i ragazzini. Passa le notti in discoteca e le giornate infrasettimanali a dormire mezzo sbronzo, da solo o tra le braccia di qualche señorita. I dirigenti del Cadiz assegnano a un membro dello staff il compito di presentarsi ogni mattina a casa sua per tirarlo giù dal letto. Ci riesce solo quando vede passare in strada la banda del paese e decide di portargliela su in camera. Mágico apre gli occhi e, per la prima volta, si alza. “Ma solo perché mi piace la musica”, chiarisce subito, a scanso di equivoci. Con gli allenatori le cose non vanno bene, impossibile con uno che dice frasi di questo genere: “So di non essere un santo, che mi piace la notte e che la voglia di fare baldoria non me la toglie nemmeno mia madre. So di essere un irresponsabile e un pessimo professionista, ma ho quest’idea scema in testa: non mi piace considerare il calcio come un lavoro. Se lo facessi non sarei me stesso. Gioco solo per divertirmi“. E in un anno sono più i soldi sborsati per le multe che quelli guadagnati di stipendio. Troppo. Lo spediscono al Real Valladolid, ma la sua esperienza da quelle parti dura solo un girone. La prima, memorabile, dichiarazione in conferenza stampa: “Fa freddo qui e ho sonno”. Dopo nove partite è di nuovo al Cadiz, con la città impazzita di gioia.

NOTTI MAGICHE Irigoyen prima di riprenderselo ha posto una condizione: lo pagherà solo quando e se sarà schierato. Il rapporto tra Mágico e il nuovo allenatore David Vidal è di odio e amore; il mister passa le notti a cercare nelle discoteche il giocatore, ma quello è amico di tutti là dentro e trova sempre un modo per sfuggirgli: una volta lo ritrovano l’indomani mattina, addormentato dietro una tenda; un’altra sera la passa nascosto sotto la postazione del dj. Un sabato pomeriggio Mágico si presenta al campo d’allenamento, dove non lo vedono dalla settimana prima, e quando Vidal gli comunica che il giorno dopo non lo schiererà risponde: “Non capisci niente di calcio”. Poi prende un pacchetto di Winston, fa una ventina di palleggi e, prima di andar via, dice: “Così impari”. Un’altra domenica, invece, il tecnico gli fa segno di scaldarsi verso la fine del match per fargli guadagnare senza troppi sforzi qualche peseta con l’ingresso in campo e Mágico replica “grazie mister, ma non mi va… sono un po’ stanco”. Quando gli va, però, non ha rivali. Il Barcellona lo chiama per una tournée in Nord America, dove fa ombra a Maradona nelle sfide contro i Cosmos e il Fluminense. “È di un’altra galassia, molto più forte di me”, commenta El Pibe de oro dopo quell’esperienza. Ma i blaugrana non possono acquistarlo, non dopo quello che fa la notte in cui nell’albergo che li ospita scatta l’allarme antincendio. Scappano tutti, tranne Mágico. Lo trovano a letto in dolce compagnia e si giustifica con “non sono stato io” e “non ho ancora finito”. Di teste matte ai catalani basta Diego, così Jorge ritorna a Cadice dove si vendica del Barça nel più importante torneo estivo spagnolo, il trofeo Carranza. Lo fa alla sua maniera, svegliandosi tardi e presentandosi nello spogliatoio soltanto all’intervallo, quando la sua squadra perde già tre a zero: entra, fa due goal (uno da fantascienza) e due assist e la partita finisce 4 a 3. Nel ‘91, dopo aver sparso qualche figlio qua e là e risarcito una ragazza che lo ha accusato di uno stupro che lui negherà sempre di aver commesso, Mágico decide di tornarsene in El Salvador.

Hall of Fame Magico Gonzalez

TAXI DRIVER Gioca fino a 40 anni e si ritira, acclamato come un eroe. Per un po’ pare si sia dedicato a quello che è sempre stato il suo sogno: fa il tassista a Houston. Poi il governo salvadoregno gli intitola lo stadio nazionale e gli dona una casa, che Mágico accetta solo dopo aver chiesto se “il pueblo” sia d’accordo. La Fifa lo inserisce nella Hall of Fame nello stesso giorno di Weah e Baresi: è l’unico a presentarsi alla cerimonia in jeans e senza cravatta. Ha girato da poco uno spot per la Pepsi insieme a Messi e con quella lattina tra i piedi può ancora insegnare qualche trucchetto alla Pulga. Nonostante si sia sempre divertito, qualcuno dice che oggi Mágico non esca quasi più di casa e che sia depresso. Ma è bello immaginare che stia soltanto recuperando un po’ di sonno arretrato.

 

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Camillo Giuliani
Camillo Giuliani

Giornalista bassista on the road, ritardato a L'Ora della Calabria poi forcaiolo al Garantista. Come Forlani, se qualcuno non avesse avuto l'ardire di servirglielo fritto al ristorante non avrebbe mai saputo dell'esistenza del cervello.

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