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IL TACCUINO | Appunti di una passeggiata antifascista

Francesca Pignataro
Francesca Pignataro
Aprile24/ 2017

Tornacontisti, cacadubbi e panciafichisti, chi sono questi personaggi dai nomi strani? Sono due facce opposte di una stessa medaglia, che si possono conoscere meglio passeggiando con un bicchiere di vino rosso.

“Sono i fascisti che non seguono le indicazioni del Duce riguardo la guerra, sono i membri del partito che ormai cercano una vita serena, rappresentano coloro i quali sono diventati dei semplici burocrati. I tornacontisti, cacadubbi e panciafichisti però sono anche gli antifascisti che polemizzano e analizzano criticamente la politica portata avanti da Mussolini.”

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A spiegarlo è Giovanni Sole, professore di Storia delle tradizioni popolari al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, per un giorno alla testa di una passeggiata antifascista fra mito e realtà dei luoghi del fascismo meridionale. Il mito della guerra, basato sull’idolatria della morte e sull’odio verso i nemici e la realtà di quella stessa guerra, combattuta a suon di vite umane. I nemici erano gli antifascisti, socialisti o comunisti che fossero, ma erano anche i cattolici ed i massoni, ma la storia del partito fascista è particolare e capita che il suo primo segretario, Michele Bianchi, fosse anche un’esponente della massoneria locale, come spiega il prof Sole. Non mancavano però i falsi nemici, tra cui gli ebrei. A Cosenza infatti – la città che dal basso sta celebrando la “Festa delle Resistenze” nelle giornate della Liberazione con eventi originali e partecipati – esclusi i deportati nel campo di concentramento di Ferramonti, gli ebrei che vivevano nella provincia cittadina erano solo cinque e tra essi solo uno era israelita.  L’ultimo vero nemico fascista era la borghesia, intesa non in senso marxiano, ma come ideologia che può appropriarsi di qualsiasi classe sociale. Il disprezzo verso i borghesi svela un altro grande paradosso del complesso movimento fascista, il quale si presentava come movimento non democratico e antiparlamentare, ma portava avanti una rivoluzione fronteggiata da capi borghesi.

La passeggiata antifascista ha avuto inizio nel largo dei partigiani, di fronte Palazzo Arnone, luogo simbolo perché sede del vecchio carcere di Cosenza. Dopo alcune letture, tratte dall’ultimo libro scritto da Sole e pubblicato da Rubbettino editore, ci si sposta verso il ponte di San Francesco. Qui si trova la galleria utilizzata dagli abitanti della città come rifugio dalle bombe anglo-americane che piovevano negli anni della seconda guerra mondiale. Nonostante i gerarchi del partito descrivessero una città disciplinata, che rispondeva con abnegazione e rigore agli orrori del conflitto, la realtà era ben diversa. Le masse popolari non rispettavano quanto stabilito nel corso delle innumerevoli esercitazioni e si spostavano, in una sorta di grande esodo, verso le campagne e i paesini circostanti, in cerca di rifugio e di condizioni di vita lievemente migliori. Cosenza com tante altre città del Sud era infatti attraversata da una fortissima crisi economica e sociale, paradossalmente in alcuni casi si stava meglio nei campi di concentramento inglesi dove le razioni di pane erano quattro o cinque volte superiori a quelle distribuite nella città.

Costeggiando il fiume, il plotone culturale è arrivato dove nel 1940 i cittadini si adunarono per sentire dagli altoparlanti il discorso, trasmesso via radio, di Mussolini a Palazzo Venezia. Quel discorso lasciò Cosenza ed i suoi abitanti interdetti, nel timore che una nuova sciagura, simile a quella della grande guerra, potesse riabbattersi sulle vite della popolazione civile. Affianco al monumento ai caduti, Giovanni Sole ha raccontato di quel partito apparentemente compatto, ma internamente diviso e sottomesso ai segretari federali controllati da Mussolini, di quel partito che rappresentava una delle prime grandi organizzazioni di massa, che raggruppava esponenti della piccola e media borghesia locale. Nell’ultima parte della passeggiata lo storico e pubblicista Matteo Dalena ha raccontato come i partigiani sul posto fossero pochi e come sia toccato alla stampa da queste parti lottare in virtù dell’antifascismo. Una stampa vessata e intimidita, che non aveva vita facile: ma questa è una storia che non è ancora finita.

Francesca Pignataro
Francesca Pignataro

20enne tutta ansia che oscilla tra il caos e la precisione maniacale. Scribacchio, o almeno ci provo, per rabbia o per gioia. Se armata di taccuino e penna sembro poco seria e non è solo un'impressione, ma sto provando a migliorare.

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