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Il Giro alle Terme e l’eresia del consumo

Ettore De Franco
Ettore De Franco
Maggio12/ 2017

L’aria che si respira all’arrivo alle Terme Luigiane è densa e fastidiosa come una di quelle pacche d’incoraggiamento che cicliste e ciclisti ricevono nel momento del massimo sforzo. Risalendo dall’estremo meridione della penisola il gruppo rosa si è portato appresso quello scirocco carico di sabbia ed umidità che rende le persone del sud accalcate alle transenne scontrose come poche; ma se è vero che in questi momenti di nervosismo le genti del luogo reagiscono cercando di condividere la propria sofferenza, l’arrivo della sesta frazione del Giro d’Italia numero cento è il momento ideale per mettere in piazza (e che piazza) il proprio disagio. Chi s’assiepa lungo la maligna rampa dell’arrivo di Guardia Piemontese (un chilometro e mezzo la cui pendenza precludeva a priori la possibilità di vittoria di uno sprinter) si produce nel ghigno tipico di chi cerca di respirare con tutti gli orifizi di cui dispone ed al tempo stesso prova a chiudere al massimo la fessura degli occhi per proteggersi dalla fastidiosa luce di una giornata serena e nuvolosa al tempo stesso.

Prima dell’arrivo, che premierà lo svizzero Silvan Dillier della Bmc, autore di uno sprint astuto ed ostinato, lo spettatore ha il tempo di godersi lo spettacolo dei globetrotters che compongono la carovana del Giro.

Il circo che si monta attorno alla linea d’arrivo di una frazione della corsa rosa ricorda in qualche modo Riccione; del resto il dialetto romagnolo è quello che prevale nel vociare delle migliaia di persone dello staff che ronzano indaffarati attorno al nucleo dell’alveare cui appartengono: la linea dell’arrivo; le ragazze ed i ragazzi che animano la carovana pubblicitaria con balli di gruppo riproducono delle coreografie degne di una battigia bagnata da acqua grigiastra, invasa dalle alghe e solcata da fisici teutonici che negano la validità del canone di Policleto. Come se non bastasse, il passaggio degli sponsor provoca l’esplosione di fenomeni come il machismo delle masse che si manifesta con grida e schiamazzi al passaggio delle ragazze, che devono sopportare la deficienza collettiva con un sorriso smagliante, e l’ingordigia che spinge sessantenni a prendere a calci in culo bambini di otto anni pur di accaparrarsi uno dei gadget, di solito lanciati come se fossero le monete della carità che un signorotto di campagna sparge all’uscita della messa.

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Ma l’appassionato di ciclismo – questa figura mitologica vessata nei bar e nei pub che frequenta – ti affianca nel momento di difficoltà come un gregario che compare al fianco del campione per spronarlo a tagliare la linea d’arrivo; e così ti ritrovi circondato da persone che sanno riconoscere, senza consultare streetview, un semaforo della statale che il gruppo sta percorrendo e che si trova ad 80 chilometri dal traguardo, e da ragazzini che si eccitano quando arrivano le staffette della Polizia Stradale pensando che sia il serpentone dei ciclisti, nonostante il maxischermo indichi che manca ancora qualche decina di chilometri alla conclusione (qui partono quegli sfottò capaci di farti integrare nel collettivo che ti circonda e non di isolarti). In questi momenti capisci che le appassionate e gli appassionati degli sport dal vivo non sono obbligate ad omologarsi al modello di spettatore a cui, mi raccontano risalendo il tracciato, sono riservati gli stadi inglesi o lo Juventus Stadium o il futuro Stadio della Roma o, soprattutto, lo stadio della Finale a Cardiff. Alla domanda: “c’è ancora spazio per l’eresia del consumo, per la gente che si porta il panino da casa invece di mangiare un boccone al Mc Donald’s, per gente che sta in piedi per ore in attesa di un passaggio che dura un attimo”?, la risposta la forniscono queste giornate.

Tornate, ci sono altre strade da asfaltare“; con striscioni del genere le calabresi ed i calabresi del ciclismo, appassionati od occasionali che siano, hanno dimostrato di sapersi ancora godere la festa di un giorno lieto, com’è quello in cui il Giro d’Italia passa per luoghi spettacolari come i tornanti che guardano il mar Tirreno, e lo hanno fatto con spirito critico, non rinunciando a lamentare le condizioni in cui continuano a morire donne ed uomini che non hanno alternative alla macchina per raggiungere i propri posti di lavoro.

Ettore De Franco
Ettore De Franco

Terzino destro limitato tecnicamente ma in grado di chiudere le diagonali. Avviato alla scrittura dal Nonno che gli chiedeva di cercare sul vocabolario le parole risolutive dei suoi cruciverba. Rosso e blu ma più rosso che blu. Ambasciatore bruzio presso il nord della Penisola iberica ed in tutti e due fronti della Guerra delle Malvine/Falklands, attualmente in riposo, da tutto.

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