Il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. Due qualità secondo Antonio Gramsci essenziali per essere davvero rivoluzionari, coesistono nel binomio Fofi – Panizza, che a più di quattro anni dal libro scritto insieme e con la prefazione di Roberto Saviano, ritornano a discutere pubblicamente nello stesso “Paradiso, purgatorio e inferno” che l’ha ispirato, la Calabria. L’occasione la fornisce Il Filo di Sophia, associazione indipendente di agitazione culturale, che ha invitato il grande critico e il prete coraggio a discutere del tema “Siamo tutti Stranieri” nell’aula F1 del dipartimento di Filosofia all’Università della Calabria di Arcavacata, Rende. Si inizia un po’ in ritardo, serata di coppa dalla tv e di pioggia dal cielo, ma la partecipazione delle persone è buona. Giuseppe Bornino fa gli onori di casa per i ragazzi del Filo. Ahmed Berraou, Imam di Cosenza, si siede accanto a Don Panizza e apre la serata pensando ai Prendocasa cittadini con la lettura in arabo e in italiano di poesie che parlano del sereno avvicinarsi di culture e religioni.
Poi tocca a Goffredo Fofi da Gubbio, cittadino del mondo e direttore de “Lo Straniero”. Quella del noto anti-intellettuale («Un intellettuale cretino è molto peggio di un analfabeta cretino, proprio come è meglio un democristiano di sinistra che un comunista di destra») è una lectio più che mai attuale, incentrata, bastone in mano, sul rapporto fra identità e stranierità. Quanti sinonimi ha la parola straniero? Tanti, ma pochissimi sono i suoi contrari. Si parte da qui, dai mille modi di essere straniero nella lingua, nella letteratura, nella politica, nel film western, nella poesia; il viaggio di Fofi va spedito ed è di quelli memorabili, attraversa snodi fondamentali della vita pubblica del nostro paese e non manca di toccare posti e ricordi personali di un uomo che ha attraversato da protagonista defilato la cultura italiana. Camminando sempre in direzione ostinata e contraria è arrivato oggi a una convinzione: «Il meticciato culturale esprime le uniche cose davvero interessanti che si possono trovare in giro». Don Giacomo Panizza risponde ai suoi Western con i Pink Floyd e prende la parola da bresciano di Pontoglio che temeva di confessare ai genitori quanto gli piacesse una morosa fra i bergamaschi che stavano al di là del ponte. Ognuno ha il suo straniero da affrontare senza pregiudizi, e ad un certo punto parla alla sala da operatore sociale, come migrante al contrario che in Calabria si è trovato a combattere una guerra quotidiana a fianco al debole, spesso una persona resa straniera dalla società, «ma a volte anche una persona da rendere straniera da se stessa, da aiutare a cambiare. Per poterlo fare, come individui prima che come società, dobbiamo fare i conti con lo straniero che abbiamo dentro, con quella persona che possiamo essere e che invece temiamo e ostacoliamo per paura dell’altro».
Il dialogo entra nel vivo con qualche spunto della sala, portano le loro testimonianze anche studenti e migranti, si parla di poveri e di ricchi, di crisi economica, secondo Fofi «una grande opportunità per svegliarsi dal letargo del trentennio passato a farsi rimbambire dalla televisione e dai falsi saperi che continuano a castraci ogni giorno, specie nelle università». Panizza infine condivide il quadro generale presentato dallo scrittore – una forbice fra oppressi e oppressori che si allarga finalmente in modo netto – ma si pone anche «il problema di intervenire ogni giorno, di aiutare le persone in quanto tali prima ancora di essere in grado di tracciare una riga». A quel punto è ora tarda, le argomentazioni continuano davanti al menù etnico socializzato nell’Aula F1.