Peppe Voltarelli c’è riuscito. Il suo ultimo lavoro editoriale e discografico riporta in auge Otello Profazio e la tradizione dei racconti in musica dei cantastorie sposandola alla modernità.
Vai a capire perché ce ne vergognavamo.
Il suo è un omaggio onesto e sincero al papà del folk revival, con un disco/libro pubblicato da Squilibri Editore, “Voltarelli canta Profazio”, già dal 20 Maggio in tutte le librerie.
Tra le tante date di presentazione, Voltarelli ne ha inserita una anche per la città di Cosenza. Si è svolto tutto sulla vasta terrazza del Castello Svevo del capoluogo bruzio. Ad affiancare l’artista, oltre ad aria calda che non ti faceva campare, c’erano anche Pino Sassano, socio nella gestione della Libreria Mondadori; Giampaolo Calabrese, produttore musicale; il giornalista e critico musicale Gianluca Veltri e il videomaker Giacomo Triglia, già autore di oltre 50 videoclip e che ha curato il video di presentazione “Qua si campa d’aria”.
“Quando morì Mino Reitano, mi telefonarono per darmi la notizia e mi dissero: “ora siete rimasti tu e Otello Profazio”; mi sono detto che dovevo conoscerlo, capire chi fosse”.
Con queste parole, Voltarelli ha spiegato com’è nato questo progetto.
Non si tratta di un semplice cantautore calabrese – definizione che ha sempre odiato – lui appartiene al mondo intero e alle pietre del suo mare. Ieri, ha incantato l’intera terrazza con i racconti delle sue avventure e ha ricordato molti giorni decisivi per la sua carriera, come quello in cui non entrò al conservatorio di Cosenza e come il giorno in cui, dopo essere entrato nella casa discografica bolognese Attack Punk Records, ha capito di “essere bravo, ma con la musica di dieci anni prima”. Qualcosa doveva cambiare. Da lì, il suo avvicinamento al punk rock e successivamente al folk rock, con “Il parto delle nuvole pesanti”, gruppo che abbandonerà nel 2005 per dedicarsi alla carriera da solista.
Le sue mille storie strimpellate alla chitarra raggiungono ben presto il Canada, il Messico, gli Stati Uniti.
“Il Sud è collana e catena”, un aneddoto lanciato al pubblico, per spiegare il suo rapporto con la terra che “più si ama e più si odia al tempo stesso”. Una frase detta così rapidamente, che solo a distanza di ore, viene colta e analizzata con l’amaro in bocca, per quanta verità nasconde.
Al termine della rappresentazione, il momento probabilmente più atteso dagli ospiti: Peppe Voltarelli ha posato il calice di vino bianco, il mazzo di origano di Pellaro e i limoni della casona Profazio e ha preso la chitarra; poi con la raggia di chi ha capito troppe cose ha salutato tutti con la bella assai “Qua si campa d’aria”.