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Se Pinocchio si sveglia dal coma

admin
Novembre17/ 2013

 


di Matteo Dalena

Personaggi reali, tra loro reciprocamente necessari: il loro modo di essere è amore. Lui non ha confini se non quelli che noi stessi decidiamo di dargli. Umano, semplice, disarmante è il “Pinocchio” di Babilonia Teatri, diretto da Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, con Paolo Facchini, Luigi Ferrarini, Riccardo Sielli, Luca Scotton e lo stesso Enrico Castellani, andato in scena sul palco del “Morelli” di Cosenza, nell’ambito della contemporaneità teatrale “More Fridays”.

Un piacevole e delicato dossier di vite dopo morti sfiorate, con la fiaba di Collodi a fungere da traccia alla realtà, ripartenza di esistenze sotto la spinta narrativa di un regista-attore, motore immobile, parlante e invisibile, che muove i fili di burattini nervosi, pezzi di legno ma non “cuori di stagno”.

Una zucca vuota, l’automobile dei Flinstones o più semplicemente l’essere sospesi nell’atto di cadere in piscina dopo un tuffo dal trampolino o ancora “un limbo”: è il coma, candidamente descritto dagli attori, appartenenti all’associazione bolognese “Amici di Luca” che si occupa di “risvegli”, che sulla loro pelle hanno sperimentato la pedagogia di un “prima” e di un “dopo”, dell’oggi e non più ieri, incastonata nel retrovisore di una moto-sedia griffata “Morelli” o nei successivi stadi di un corpo cangiante, legnoso, ciuchino o, soltanto, altro da sé.

Fasci di muscoli atrofizzati e incapaci di tradurre in movenze e rotondità piene i desideri di un’anima che langue in un corpo non più bambino, “ciascuno col suo viaggio, ciascuno diverso”, di una mente instancabile che s’aggira in fascinosi labirinti di nonsenso, dimenandosi e sbattendo contro gli argini di un copione continuamente nominato, tirato in ballo dal regista-intervistatore foss’anche solo per essere infranto.

Ma nel corridoio della cittadella riabilitativa bolognese si respira la stessa aria greve del calviniano Cottolengo di Torino: storpi pazienti inducono lo scrutatore Amerigo Ormea ad una serrata riflessione su vita e affetti. Lo stesso fanno Facchini, Ferrarini e Sielli, nomi e corpi di degenti piegati e ripieganti su se stessi alla ricerca di normalità, di un qualche balocco, di una fata turchina o, più semplicemente della loro “ora perfetta”, quell’attimo in cui “in ogni città c’è la città”.

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