Una foto rubata, una birra fresca e poi tutti a saltare sotto al palco. È stata molte altre e tutte queste cose insieme la IV Edizione del Color Fest. Penso sia partito tutto verso le 18 del 12 agosto, quando la famiglia Color ha ufficialmente aperto le porte dell’Abbazia Benedettina di Lamezia Terme. Dopo mesi di duro lavoro, anche quest’anno, 50 ragazzi che anni fa hanno deciso di dare fiducia alla loro terra sono riusciti a far vibrare i cuori di circa 2500 giovani che in due giorni hanno dimostrato la loro voglia di ascoltare musica diversa da quella che propongono da queste parti e di incontrare occhi diversi da quelli che si vedono tutti i giorni. Lasci i brutti pensieri fuori dalle mura dell’abbazia e accetti di vivere per molte ore all’insegna della cultura e della condivisione, fai la fila e poi sei dentro. Dopo poco parte la musica.
I primi a salire sul palco sono i Parkwave, quattro ragazzi cosentini che con il loro sound hanno deciso di andare a cercare fortuna in America come tanti, solo che loro ci sono riusciti. Al Color hanno suonato e cantato qualche pezzo, fra questi anche “Wave“, singolo scelto come colonna sonora di un film indipendente britannico. Insieme a loro molti altri artisti emergenti, Scarda, Yosonu, Pop X, Wrongonyou, Carmine Torchia, L’Officina Della Camomilla, Captain Quentin. Tutti con qualcosa di unico e personale, uno stile che è riuscito a inchiodare i presenti sotto il palco. Beh inchiodati non proprio, diciamo che la noia era vietata: uccisa da un suono elettronico, un assolo di chitarra, un rullo di tamburi alla batteria, una frase d’amore urlata al cielo.
Ma fra gli antichi ruderi benedettini non ci sono stati solo concerti.
Lo Stato Sociale ha presentato un libro, “Il movimento è fermo – un romanzo d’amore e libertà ma non troppo“, scritto da due dei componenti della band elettro pop bolognese, Alberto “Bebo” Guidetti e Alberto “Albi” Cazzola.
“Faccio parte di quella generazione allargata, che va dai 30 ai 40, che ha vissuto in prima persona e ha accusato più di tutti l’arrivo “della crisi della crisi”, in cui non si è parlato più di futuro. Non c’era lavoro e dovevi fotterti con uno stage non pagato, perché “comunque fa curriculum”. E ci siamo trovati a non poter raccontare questa situazione, perché troppo indaffarati nel riuscire a capire cosa fare di noi come persone. Questo libro nasce dall’esigenza di spiegare cosa accade nella vita e nelle teste di noi trentenni che, probabilmente abbiamo perso il treno in quel momento, ma adesso stiamo sicuramente facendo una rincorsa“.
Con queste parole Bebo ha spiegato il perché di questo romanzo. Infine, Albi ha letto un capitolo del libro e si è aperto un piccolo dibattito con il pubblico. Io dopo ho provato a fare qualche domanda a entrambi:
E poi musica, musica e ancora musica.
Lo Stato Sociale ancora protagonista: sul palco tocca a Lodo Guenzi, cantante della band che, con in mano la sua chitarra, è entrato in scena con un live esclusivo, cantando brani del suo stesso gruppo e facendo omaggi ai più grandi, ricordando per esempio “L’avvelenata” di Francesco Guccini. In realtà non era da solo, sotto di lui c’era un gran coro che lo accompagnava. E non potevano mancare i ringraziamenti ai suoi compagni di vita, il resto della band. Così, quando lo ha raggiunto Albi ha dimostrato tutto il suo “amore” per lui con un bel bacio a stampo e una cantata insieme.
E Calcutta? Lui è una romantica promessa della musica italiana, entrato da poco in scena (l’abbiamo intervistato qui). Dalla sua Latina, pure a Lamezia ha trovato il giusto sostegno. Anche perché quando non avrà più l’età diventerà un “Albero”, nel frattempo ascolta i consigli di “Gaetano” e magari un giorno capirà cosa le manca a fare e andranno insieme a Peschiera del Garda a fare un bagno.
Dopo una serata sentimentale, fatta anche di qualche sogno, è sempre utile quella successiva. Quella forte, fatta di ricordi un po’ meno “belli”. Altro momento carico di emozioni durante il festival, infatti, è stata la presentazione del secondo libro, “Ho un complesso rock“. Una raccolta di 200 articoli scritti dal giornalista, prematuramente scomparso, Stefano Cuzzocrea (ne parliamo qui)
“Stefano era una penna unica, fantasiosa e talentuosa. Si era inventato un blog, 2 Be Pop, quando aveva iniziato ad avere dei limiti con le grandi testate, per poter dire liberamente tutto ciò che a lui non piaceva dell’editoria musicale. Aveva creato un linguaggio suo, fatto di slang e termini dialettali che aveva reso quasi internazionali“.
Così, Francesco Sapone, ci presenta Cuzzocrea e non è l’unico. Anche Luigi Politano, della Round Robin, che ha edito il libro, ha molte cose da dire in merito. “In questo libro c’è l’universo della storia musicale italiana degli ultimi anni, raccontata da quello che noi amiamo definire il “funambolo delle parole”, colui che riusciva a parlare di musica usando anche parallelismi assurdi e alla fine ti rendevi conto che aveva ragione“. Fabio Nirta, al centro fra i due, ha avuto “la fortuna di conoscerlo personalmente”; spesso prende la parola. Si commuove, ma ci tiene a sottolineare che “gli stage dei festival non sono temporanei, sono definitivi” e che “finché festival come questo avranno vita, porteranno il nome di Stefano Cuzzocrea”.
E di brutti momenti ne sanno qualcosa gli Afterhours, quelli che urlano nel cuore della notte, accompagnandosi ai potenti suoni del rock. Sono tutti lì, che aspettano Manuel Agnelli per la sua unica data al sud e lui li accontenta. Sale sul palco, travolgendoli fino all’anima di “Folfiri e Folfox”, l’ultimo album. L’album che gli ha dato la forza di ripartire dopo la perdita del padre. Poi alcuni pezzi storici, come “Male di Miele”. In ogni caso cantate tutte allo stesso modo a memoria dai fan. Agnelli ha speso anche qualche parola rispetto a chi lo ha criticato per la scelta di fare il giudice a X-Factor, poco prima di intonare un pezzo scritto 20 anni fa, “Pop (Una canzone pop)”.
E con “Bye Bye Bombay”, gli Afterhours salutano e vanno via come cavalieri dell’oscurità.