di Andrea Bevacqua
C’è Niccolò Fabi nella stanza. Un’unica grande stanza, intima e accogliente, a volte misteriosa, a volte buia, a volta tetra. Una stanza di una volta, collocabile in un palazzo dell’Ottocento, con quei saloni difficili da illuminare a giorno perché molto grandi, con i candelabri poggiati in ogni angolo, con le tende enormi e i drappi vistosi che hanno un’unica funzione: filtrare la luce del giorno e nascondere le paure della notte. E così, canzone dopo canzone, parola dopo parola, viaggio dopo viaggio, la stanza di Niccolò diventa sempre più familiare e capiente, ad uno ad uno gli spettatori in teatro vengono accolti dal padrone di casa.
Una grande discussione intorno ad una chitarra, ad un pianoforte ed una voce, in cerchio, come si fa di solito nei falò o nelle serate a casa degli amici. Oltre all’artista romano sul palco c’è una giovane band: due chitarre, una batteria e un basso, a questi strumenti si aggiungono una marea di effetti che distorcono suoni e rumori creando, insieme ad un perfetto e ricercato piano luci, atmosfere a tratti volutamente molto confuse e psichedeliche. Un’ambientazione che rispecchia il flusso di pensieri e di emozioni in due ore ininterrotte di parole, musica e sonorità, frasi mai ad effetto capaci di provocare riflessioni che scorrono nella mente generando cerchi concentrici, quasi come un sasso gettato in uno stagno. I brani del concerto fanno parte prevalentemente dagli ultimi album dell’artista romano, in particolare l’ultimo Una somma di piccole cose, vincitore della Targa Tenco come miglior album del 2016. Un album introspettivo come gli ultimi, sonorità molto semplici, ma allo stesso tempo ricercate, riflessioni in musica che inevitabilmente si attaccano addosso all’ascoltatore attento.
E’ il caso di Ha perso la città, un brano che si colloca a metà strada tra la denuncia nei confronti del nostro egoismo, della nostra poca capacità di fare comunità e del malaffare dei palazzinari e il rimpianto per un tempo che non esiste più, quello delle città intese come gruppo di sognatori che avevano tanto «fiato per parlarsi», che «non conoscevano i ristoranti giapponesi che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese» e che «avevano tanta voglia di aiutarsi». Ogni brano diventa opportunità per abbandonarsi ad una riflessione, ad una spinta verso l’Altro inteso non solo come semplice individuo da incrociare lungo le strade metropolitane, ma soprattutto come portatore sano di opportunità di crescita e confronto. D’altronde anche ieri Niccolò Fabi non si è voluto risparmiare e, nonostante i 38 gradi di febbre, per nulla visibili sul palco, ha voluto onorare la tappa cosentina tutta all’insegna della solidarietà e dell’impegno civico a favore della ricerca sul cancro.
Probabilmente senza la Fondazione Lilli Funaro questa data non ci sarebbe mai stata. Questo di Fabi rappresenta il quattordicesimo concerto benefico organizzato tra il capoluogo bruzio e la costa tirrenica cosentina in dodici anni di attività della fondazione. Una bella pagina di impegno civile per la terra calabrese spesso famosa solo per fatti di cronaca nera o malaffare. La Fondazione Lilli Funaro, intitolata ad una giovane cosentina prematuramente scomparsa nel 2004, lavora nel silenzio quotidiano sostenendo progetti di carattere scientifico e sociale soprattutto nel campo dell’assistenza e del supporto ai pazienti affetti da cancro; micro azioni di cooperazione in Africa; attività di solidarietà rivolte alle fasce più deboli. Tra tutti vale la pena di citare il supporto alle attività della OnG MO.C.I. e il prezioso aiuto dei volontari della fondazione nella cucina e tra i tavoli di Immensamente Fiera ogni mese di marzo. Non ci sono dubbi: vivere con questo spirito la città è il modo più giusto e saggio, Elementare sarebbe il caso di dire « come il sonno la domenica» o «come il pallone che rotola» in una vita dove non si può non pensare a Costruire con la consapevolezza che è necessario « sapere di dover rinunciare alla perfezione».
Ed in modo elementare il concerto di Niccolò Fabi diventa una metafora della vita, una costruzione di un rapporto. Niccolò Fabi non si assenta mai dal palco, un buon padrone di casa non lo farebbe mai. Anzi c’è una nuova regola nel galateo: mettersi alla ricerca continua di nuovi argomenti e nuove forme di comunicazione e intimità. Tra artista e pubblico si genera un rapporto di coppia dove il primo decide di vedere, suonare, percepire sensazioni con un pubblico non più fatto di singoli individui e tanti Io ma con un pubblico fatto di NOI, un NOI che diventa così coinvolgente da avvolgere tutto il teatro abbattendo ogni distanza e barriera tra platea e palco. I neologismi su questo tema si sprecano, ne troviamo uno nell’album Ecco del 2012, “egomania”, ovvero una forma di egocentrismo esasperato in grado di scatenare una vera e propria escalation negativa dell’IO. Ma questo rischio non si corre in un ambiente così raccolto e pensante come quello del Rendano. Tutti diventiamo padri (e madri) di Una buona idea, una riflessione e un confronto in grado di generare buone pratiche salvifiche sostenute da un’amica insostituibile di nome Musica. La ricerca della buona idea è un lavoro certosino e comunitario, una marcia di popoli su strade che si incrociano, parole che si intrecciano con quelle degli altri, uomini e donne consapevoli di non essere perfetti che lottano per una società migliore capaci nello stesso momento “di inciampare sulle proprie orme, di sbagliare e di non sapersi concedere perdono”.
C’è distinzione allora tra il Bene e il Male? Forse no, forse fa tutto parte di un cammino, quello della vita, della natura che farà scendere la neve a breve e del sole che riprenderà il suo posto, quello delle nostre città abitate da donne e uomini capaci di chiudersi in se stessi e nello stesso tempo di aprirsi agli altri stabilendo legami e solidarietà, quello delle nostre scuole dove gli studenti sembrano stanchi e annoiati ma poi sono i primi a saper riconoscere i cambiamenti del Presente. Per il momento non possiamo fare altro che continuare a camminare, magari in direzione ostinata e contraria, uscire più ricchi e carichi da un teatro trasformato in un grande salone di un palazzo ottocentesco, consapevoli che se un giorno ci lasceremo a Roma in un altro ci ritroveremo a confrontarci in un caffè del centro di Cosenza.
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in copertina, foto di R. Pinna per Fingerpicking