No, vabbè, mica Gigi Simoni è stato uno degli allenatori più vincenti della storia del Cosenza Calcio. No, proprio no. Anzi, lo hanno pure esonerato a metà campionato perché si rischiava addirittura di retrocedere. Eppure, di giocatori forti in quella squadra ce n’erano eccome: da Marulla a Padovano, da Galeazzi a Ciro Muro, da Napolitano a Bergamini.
Donato “Denis” Bergamini. Ecco, lui forse un po’ più degli altri. Probabilmente, se non fosse stato per Denis, dell’esperienza di Gigi Simoni (da non confondere con il portiere, lui sì vincente coi Lupi) in riva al Crati sarebbe rimasto un ricordo sbiadito e lontanissimo. Oppure no. Oppure, chi lo sa, col suo talentuoso numero otto biondo a scorazzare in mezzo al campo, quel Cosenza avrebbe centrato la Serie A sfuggita per un soffio nella stagione precedente. Maledetti “se”, che non portano mai da nessuna parte e ogni volta ti fanno risvegliare dentro una serie di rimorsi e rimpianti e nostalgie che se sei un tipo sensibile da quella situazione non ne esci vivo manco per sbaglio.
Gigi Simoni il 18 novembre del 1989 aveva 50 anni e alle spalle un curriculum di tutto rispetto: tre promozioni in A con Genoa e Pisa. Un mister da sogno per una piazza piccola piccola del Sud, tornata in B dopo 25 anni di inferno. Era stato chiamato in terra bruzia per stupire, poi, però, qualcosa è andato subito storto. A partire da quella strana e grigia serata di autunno.
Luigi Simoni da Crevalcore è in ritiro con la squadra e Denis Bergamini non si trova. È sparito poco prima di cena, quando tutti erano al cinema a guardare un film che non ricorda più nessuno. Il piccolo grande tecnico dai capelli bianchi risponde al telefono e dall’altra parte c’è una voce femminile. È quella di Isabella Internò, la ragazza non ragazza del suo numero otto biondo svanito nel nulla. L’avrà vista due o tre volte in quei pochi mesi calabresi e poi null’altro.
“Mister – gli dice la ragazza non ragazza con un tono stranamente pacato – Donato è morto…è finito sotto un camion!”.
Punto.
La storia di Luigi Simoni a Cosenza finisce in quel preciso momento, finisce sotto quel camion. E, al tempo stesso, inizia. Non è importante se il giorno dopo, insieme ai suoi ragazzi privi di Denis, batterà il Messina al San Vito in una partita fredda e surreale. Non conta neanche il suo fallimento personale su quella panchina. Il faccione di Simoni a Cosenza resterà per sempre impresso nella mente dei tifosi per quel momento lì. Un momento terribile.
Qualche anno dopo, parlando con un giornalista, rivelerà che per lui Denis a quel tempo era come un figlio: “Era riservato, ma non avrebbe mai potuto togliersi la vita”. E perderlo in quel modo, quel figlio acquisito, è stato uno shock. Un colpo improvviso e inspiegabile, superato per intensità soltanto dalla prematura scomparsa del vero figlio, Adriano, esattamente dieci anni dopo Bergamini. Destino beffardo. Ottobre 1999, ancora su una strada, stavolta però in un incidente per niente misterioso.
Un dolore atroce che aveva cancellato in un colpo solo tutto ciò che era accaduto fino a poco tempo prima: l’Inter, Ronaldo, la Coppa Uefa, lo scudetto mancato tra le polemiche e la Panchina d’oro. Tutto svanito in un attimo.
Come Denis. Come Adriano.
Tutto svanito in fondo al dolore di un uomo buono, pacato, un uomo che oggi muore, lasciando il calcio vero, quello con la faccia pulita, un po’ più solo.