Caro direttore,
un campione eccelle nel suo compito, un mito invece nel suo compito e in quello degli altri. Diego Maradona ha morso il calcio, lo ha divorato, lo ha fatto suo, lo ha sposato. Dalla povertà di Buenos Aires è esplosa una divinità, un modo nuovo di intendere un calciatore, fino a quel tempo mai esistita. Il mito non ha tempo, dopo il suo essere, diventa infinito, si fa quasi fatica a ricordarlo come reale, sorpassa il pensiero e la razionalità. Maradona è riuscito nell’intento di unire i Sud del mondo in un solo inno, ha cercato Napoli e lo ha trovato: un fatto palese, accaduto, oggettivo. Le sue magie calcistiche hanno oltrepassato il campo, la personalità lo ha reso leader popolare, schierandosi sempre dalla parte dei più deboli, senza vergogna nel mostrare le sue fragilità, criticate spudoratamente fino alla morte da chi fa della propria vita una minestra di pregiudizi, decisamente disumani. Diverse sono state anche le proteste: ha visto? Una calciatrice spagnola ha addirittura rifiutato di partecipare al minuto di silenzio, anche una cantante famosa l’ha definito un uomo poco apprezzabile, sollevando un vespaio di polemiche. Perché non capite Maradona? Chi si scandalizza è sempre banale, lo scriveva Pasolini. Del resto, il moralista immagina che non si possa sbagliare mai, e s’illude, ma soprattutto, il moralista, non ha né coraggio e né fantasia, perché non parla davvero per cambiare il mondo, ma per conservarlo: viscido, “normale” e cattivo quale è. Il moralismo è l’arma del potere, ed il moralista ne è lo strumento. Gli abissi di Maradona hanno segnato il mito, lo hanno scolpito, chiediamoci per un attimo, chi siamo? Sbagliamo, cadiamo, ci rimettiamo in sesto e ricadiamo, sperando sempre che ci sia qualcuno, lì, infondo, pronto a farci una carezza. Le dichiarazioni accusatorie contro l’argentino sono l’esempio di una parte della nostra società standard e qualunquista, che non ha mai cambiato rotta. Perché abbiamo bisogno di questo? Cosa ci rende così piccoli? Diego ha alzato “La mano de Dios” in cielo per dare giustizia ad un popolo, poi ha dribblato gli avversari come birilli, regalando il fulcro dell’emotività nella cosiddetta rete del secolo: un’opera d’arte, non solo calcio. Con la morte di Maradona è finita un’era, c’è un prima e c’è un dopo, il mondo piange, ha perso un massimo, colui che ha regalato felicità in dei luoghi dove forse non l’avevano mai provata veramente prima. Diego non c’è più, ce lo raccontano, ma il mito è incancellabile, sarà eterno.
Salvatore Intrieri
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Caro Salvatore,
uno striscione argentino molto citato in questi giorni, di e a Maradona diceva: “No importa lo que hiciste con tu vida, sino lo que hiciste con las nuestras” (“non importa cosa hai fatto con la tua vita, importa quello che hai fatto con le nostre”). Che stupenda forma di letteratura popolare sono gli striscioni, scrivono il romanzo di questa epoca meglio di tanti libri. Il mondo (mediato) è stato travolto da una marea di emozioni e ricordi in questi primi giorni senza Maradona, riuscendo a cancellare dalla sua agenda ogni emergenza. Anche solo questo fatto, con uno sguardo attento, può restituirci la misura del livello di pressione che ha sopportato in vita quest’uomo fatto mito. Davvero difficile provare a trovarne altre di parole, ma il tuo tentativo, a pieno titolo quello di uno mmasciatista della prima ora, è riuscito e mi lascia senza molti argomenti a cui controbattere. “Chiediamoci per un attimo, chi siamo?”, scrivi. E penso che in fondo quel “10” che ha portato sulle spalle come nessun altro essere umano prima e dopo, si poteva anche leggere “IO”.
sas