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Gianni Di Marzio ha scoperto la luna

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Gennaio23/ 2022

L’estate del 1978 era quella dei Mondiali di calcio nell’Argentina del generale Jorge Rafael Videla. A meno di un chilometro dallo stadio Monumental di Buenos Aires, c’è il complesso dell’Esma (Escuela Mecanica de la Armada), dove già da due anni si susseguono nel silenzio e nella paura generale gravi delitti nei confronti dei dissidenti del regime militare. Gli oppositori vengono arrestati, seviziati e in molti casi fatti sparire nel nulla. Succede ogni giorno, tranne nel corso delle partite della Selección, ascoltate in religioso silenzio dagli altoparlanti delle prigioni dai militari aguzzini. D’altronde quel grande evento sportivo è stato voluto proprio per distrarre il popolo dai massacri della dittatura.

Alla fine, l’Argentina di Mario Kempes conquisterà il titolo iridato in finale contro l’Olanda, priva del suo asso Johan Cruijff.

Sugli spalti, a seguire buona parte delle partite di quel Mondiale, c’è anche il giovane Gianni Di Marzio che ha da poco concluso il primo campionato di serie A alla guida del suo Napoli. Un ottimo sesto posto in classifica, con conseguente qualificazione alla Coppa Uefa.

Il tecnico pertenopeo si trova in Sudamerica per scoprire giovani talenti che siano in grado di rendere più forte la squadra della sua città. Viaggia da una parte all’altra del Paese, fino a quando un pomeriggio, durante un breve tragitto in taxi che lo sta traghettando verso l’ennesima partita di quella competizione, chiede un po’ per gioco all’autista se conosce qualche giovane promessa ancora poco conosciuta. L’uomo al posto di guida lo guarda dallo specchietto retrovisore e senza nessuna esitazione gli fa un nome: Diego Armando Maradona. Un ragazzino di appena 18 anni inserito dal ct argentino Cesar Menotti della prelista di 40 calciatori per i Mondiali, poi però fatto fuori in quella definitiva.

“Gioca nell’Argentinos Juniors”, rivela l’uomo a Di Marzio.

L’Argentinos Juniors in quel periodo è una polisportiva e a curare il settore calcistico c’è un ingegnere di Aiello Calabro, provincia di Cosenza, tal Settimio Aloisio. Quando Di Marzio lo contatta telefonicamente, Aloisio quasi non ci crede. Conosce bene quell’uomo che appena due anni prima aveva portato in serie A la sua squadra del cuore, il Catanzaro. Quando gli viene chiesto di Maradona, l’ingegnere calabrese si illumina. Per Di Marzio è disposto a tutto. In pochi giorni mette in piedi una partita per far ammirare al suo mito quel talento brutalmente trascurato dall’Argentina. Ma al momento di scendere in campo, Maradona non si presenta. Pare sia ancora arrabbiato per l’esclusione dai Mondiali, è convinto di essere stato vittima di un’ingiustizia. A quel punto Di Marzio chiede ad Aloisio di portalo a casa del ragazzo, a Villa Fiorito, un sobborgo di Buenos Aires piuttosto malandato. Proverà lui a convincerlo a giocare. Quando finalmente lo vede, rimane deluso: è basso, molto basso, ha i capelli lunghi e tutto sembra tranne che un atleta. Però vuole vedere lo stesso all’opera. Riesce a convincerlo riempiendolo di parole e ragionamenti come solo lui è capace di fare e quando il giovane Maradona scende finalmente in campo, l’estate di Gianni Di Marzio prende una piega inaspettata. In un sol colpo svaniscono i chilometri fatti fino a quel punto, la fatica e le partite viste in quella terra lontana e violenta. In tre giocate (dribbling, punizione e sforbiciata), insomma, in appena dieci minuti, il tecnico napoletano capisce di avere davanti qualcosa di mai visto prima. Allora non perde tempo: per paura che qualche altra squadra italiana possa soffiarglielo e, soprattutto, per non far alzare il prezzo, racconta ai giornalisti presenti che quel ragazzino non è da Napoli. Subito dopo corre dal ragazzo e gli fa firmare una serie di documenti offrendogli la cifra di 220 mila dollari. Resta con lui per tutta la durata del torneo mondiale.

Diego Armando Maradona è felice, ogni giorno si presenta davanti all’albergo di Di Marzio e lo aspetta fuori anche per ore. Sa bene che, dopo tante delusioni, quella che gli si è presentata è l’occasione che può cambiargli la vita. I due spesso pranzano e cenano insieme e Maradona è presente anche all’aeroporto quando il suo nuovo papà calcistico si appresta a tornare in Italia.

“No me olvides”, non ti dimenticare di me, gli grida in spagnolo.

E chi se lo scorda Maradona. Giunto a Napoli, Di Marzio parla del talento argentino al presidente Corrado Ferlaino.

“Questo è un campione” – assicura – “ci fa fare il salto di qualità”. Gli dice di avergli già fatto firmare un precontratto ma, stranamente, Ferlaino, non si fida. “Gianni, ti sei fissato con i giovani. Ora basta”, gli fa. Troppi soldi per un ragazzino di 18 di cui si sa poco e niente, e poi, come se non bastasse, in quell’epoca le frontiere sono chiuse. E così l’affare del secolo salta in un attimo.

Quando, sei anni dopo, nel 1984, lo stesso Ferlaino acquisterà Maradona dal Barcellona per 13 miliardi e mezzo di lire, Di Marzio siederà su un’altra panchina. Il rimpianto più grande di una carriera inimitabile.

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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