• sabato 5 Ottobre 2024

L’INESPRESSO| La morte ha rapito Johan Cruyff

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Marzo24/ 2016

di Francesco Veltri

E’ l’estate del 1953 e Alfredo Di Stefano, quello che ancora oggi è definito da molti il migliore calciatore di tutti i tempi insieme a Pelé e Maradona, sta per lasciare il Millionarios, squadra che milita nella prima divisione colombiana, per volare in Spagna. A Bogotà, in quattro stagioni, l’attaccante argentino ha messo a segno oltre 90 reti, vincendo tre campionati e due classifiche cannonieri. Di Stefano ha 27 anni e dopo aver trascorso più di metà della sua carriera in Sudamerica, può finalmente arrivare in Europa. Tutti lo vogliono ma in pochi se lo possono permettere.

Johan Cruyff With Jesper Olsen Share Penalty Dec 1982 Ajax Vs Helmond Sport
Cruyff divide il rigore con il compagno di squadra Jesper Olsen

 

Il Barcellona viene da due titoli consecutivi, mentre il Real Madrid, fatica non poco a mettersi alla pari con le prime della classe. In quegli anni in Spagna vige la dittatura del Generalísimo Francisco Franco, in carica dal 1939 al termine di una sanguinosa guerra civile che lo ha visto vittorioso grazie anche all’appoggio della Germania nazista e dell’Italia fascista. Un regime spietato quello franchista che, seguendo l’esempio dei suoi alleati, fa della propaganda una delle sue armi migliori per fortificare il proprio potere. E la propaganda non può esimersi dal puntare sullo sport più popolare del Paese. Il Real Madrid è la squadra del re e può risultare uno strumento incisivo per accrescere i propri consensi in campo politico e sociale. Ma serve una rapida inversione di tendenza, anche perché il Barcellona rappresenta la catalogna indipendentista, la ribellione al potere del dittatore. Uno spirito rivoluzionario che nuoce all’immagine di Franco che deve quindi essere sconfitto, fuori e dentro il rettangolo di gioco. E sarà proprio Alfredo Di Stefano, inconsapevolmente, a diventare la figura di riferimento della rivalsa sportiva e culturale della compagine madrilena, aiutata e condizionata dal leader incontrastato della nazione.

La trattativa saltata

L’attaccante argentino è ad un passo dal Barça, che lo sta corteggiando da mesi, e ormai è sicuro di chiudere l’affare. L’arrivo di un giocatore come Di Stefano in blaugrana andrebbe a consolidare una supremazia tecnica rispetto alla concorrenza già resa evidente nel corso degli ultimi anni. Ma Franco non può permettere che il sapore indipendentista (spinto e incoraggiato dalle vittorie sul campo) ancora presente allo stadio “Les Corts”, nonostante i severi divieti del regime, si protragga ancora a lungo. Il Barcellona deve perdere, e il Real, il suo Real, deve assolutamente prenderne il posto. Ma per farlo c’è bisogno di un grande colpo di mercato. Enric Martí i Carreto è un imprenditore tessile e da circa un anno è il numero uno del Barcellona. Sta per chiudere il più grande affare della storia del club, portare il campionissimo nella sua squadra. Si accorda con il Millionarios e sembra fatta. Ma interviene Santiago Bernabeu, che chiude rapidamente una trattativa con il River Plate, l’altra società che detiene il cartellino di Di Stefano (allora ciò era consentito).

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Alfredo Di Stefano in goal contro il Barcellona

E’ a questo punto che interviene Franco, imponendo a Real e Barcellona di spartirsi il calciatore. Un anno giocherà a Madrid e l’anno successivo al Barça. Una mossa assurda e al contempo astuta che fa infuriare la dirigenza blaugrana e porta Enric Martì i Carreto a rinunciare all’affare. In realtà c’è chi sostiene che sia stato costretto ad arrendersi di fronte alle minacce indirette del Generalísimo: se acquisterà l’argentino, la sua azienda sarà oggetto di continui controlli fiscali che la porteranno al fallimento. Ma qualunque sia la verità, la sensazione è che non ci siano vie d’uscita e il Real si assicura l’asso argentino. Un colpo basso che arricchisce e potenzia notevolmente il team della capitale e incide negativamente sul percorso vincente tracciato fino ad allora dai suoi più acerrimi rivali. Il Real, infatti, grazie alla classe e ai gol di Di Stefano, diventa immediatamente una squadra formidabile e soprattutto imbattibile. Da quell’anno al 1964, ultimo di Di Stefano con la casacca dei blancos, vince otto titoli nazionali, cinque Coppe dei Campioni e un’altra serie interminabili di trofei. Il “caso Di Stefano” provoca una crisi inaspettata nella società catalana. Il mancato ingaggio dell’attaccante porta a una serie di polemiche e strappi che culminano nelle dimissioni dell’intera giunta di un club che con il campione argentino alle proprie dipendenze avrebbe certamente regalato ai propri tifosi successi molto più simbolici e incisivi di quelli ottenuti dal Real Madrid. La storia, invece, ha seguito un altro percorso. Un percorso pilotato, e forse macchiato da una dittatura sanguinaria che anche grazie al gioco del calcio ha resistito fino al 1975. Due anni prima prima, però, proprio quella dittatura, è stata la causa del mancato ingaggio di un altro campionissimo che ha fatto la storia del calcio.

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Cruyff e la sua inseparabile sigaretta

L’affronto di Johan

Venti anni dopo, la storia si ripete. Stavolta, però, a parti invertite. L’estate, stavolta, è quella del 1973 e il 26enne Johan Cruijff sta per trasferirsi in Spagna. Nella sua Amsterdam con addosso la maglia numero 14 dell‘Ajax ha vinto tutto quello che si poteva vincere: nove campionati olandesi, tre Coppe Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Uefa e due Palloni d’oro. E’ il giocatore più forte e originale del mondo e il Real Madrid è deciso a portarlo al “Bernabéu”.

L’operazione è stata portata avanti con grande scrupolo dai dirigenti e sta per concludersi positivamente. Ma pochi giorni prima della firma del contratto, Cruijff rifiuta il trasferimento. Per lui, rivoluzionario dentro e fuori dal rettangolo di gioco (è stato a lungo un simpatizzante e un simbolo dei Provos, un movimento pacifista nato a metà degli anni sessanta nei Paesi Bassi che portava avanti battaglie contro il consumismo, l’inquinamento e a favore della libertà sessuale e della liberalizzazione delle droghe leggere) quella società rappresenta il regime di Francisco Franco e non può assolutamente farne parte. Non è tutto. Pochi giorni dopo il grande rifiuto, l’olandese firma con il Barcellona guidato dal suo vecchio maestro ai tempi dell’Ajax, Rinus Michels. L’affronto è enorme ma la dittatura franchista è vicina al declino e non ha più la forza di imporre la propria prepotente supremazia come una volta. Johan, al “Camp Nou”, è costretto a rinunciare al 14 sulle spalle per un più lineare numero 9. Ma pur esordendo soltanto nel mese di ottobre per un cavillo burocratico, porta il Barça alla conquista della Liga dopo 14 anni di attesa. Resta indimenticabile il 5-0 inflitto al “nemico” Real in casa propria.

Johan Cruyff ● Top Goals, Assists and Skills ● HD
Cruyff finta e dribling

Dopo pochi mesi per il Pelé Bianco (come lo definì Gianni Brera) arriva il terzo Pallone d’oro e la delusione per la sconfitta con l’Olanda nella finale mondiale contro la Germania Ovest. Vince ancora tanto con i blaugrana, fino all’addio nel 1978, altra data ricca di scelte ed eventi inattesi. Cruijff sfugge infatti a un tentativo di rapimento che, come egli stesso  rivelerà molti anni dopo, «cambia per sempre la sua visione della vita e del ruolo che in essa ha il calcio». Uno shock che influisce in maniera decisiva nella decisione di non prendere parte con la sua nazionale ai mondiali che si svolgono nell’Argentina di un altro spietato dittatore, Jorge Rafael Videla. Dieci anni più tardi, Johan torna al Barça da allenatore e nel 1991 ecco un altro successo prestigioso, la vittoria della Coppa dei Campioni a Wembley contro la Sampdoria. Nel 1996 lascia il calcio perché il suo cuore è debole. Torna in panchina dal 2009 al 2013, per guidare la selezione di quella Catalogna che il generalissimo Francisco Franco ha osteggiato e represso con ogni arma a sua disposizione. Muore il 24 marzo 2016, due anni dopo Alfredo Di Stefano.

 

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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