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L’INESPRESSO | Cosenza – Urss, fu guerra fredda in riva al Crati

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Aprile04/ 2016

di Ettore De Franco e Matteo Dalena

Gli ultimi 365 giorni degli anni ottanta sono stati particolarmente densi, in questo lasso di tempo The Cure pubblicarono Disintegration ed i Nirvana uscirono con il loro primo lavoro in studio: Bleach; la Prima Repubblica italiana registrò l’avvicendamento tra Francesco Santo e Giuseppe Carratelli alla carica di Sindaco di Cosenza e quello tra Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti, in rappresentanza del Pentapartito, sulla poltrona di Primo Ministro del Belpaese. Nell’aprile del 1989 andò in onda su Rai Tre la prima puntata di Blob, in giugno un uomo armato di buste di plastica piene di chissà cosa bloccò dei carrarmati in Piazza Tienammen e nel mese di novembre le rovine del Muro di Berlino cominciarono a seppellire il mondo dove le nostre madri ed i nostri padri avevano imparato ad odiare e ad amare.

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La “5” di Ugo Napolitano contrasta un fuoriclasse sovietico

Per la nostra generazione il 1989 è riassunto dall’immagine del televisore di casa sintonizzato su un telegiornale che trasmette le immagini del collasso del regime di Ceausescu in Romania. Se ci si concentra si riesce ancora a sentire il tono indignato delle signore ad esclamare: “D’oro c’avevano i rubinetti del bagno stì bastardi, d’oro!’. Nel giorno di San Valentino si disputò un’amichevole tra il Cosenza Calcio e la selezione pluri-nazionale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Sebbene il glacis comunista dell’Europa dell’Est fosse prossimo alla dissoluzione, la squadra di calcio che faceva riferimento al Cremlino godeva di ottima salute. Pochi mesi prima, nell’estate dell’ottantotto, la squadra del Colonnello Lobanovsky aveva raggiunto la finale dell’Europeo, per essere poi battuta dall’Olanda di Marco Van Basten, alcuni dei suoi giocatori stavano ottenendo un discreto successo sui campi dell’Europa occidentale e la prospettiva di un buon piazzamento al mondiale italiano del millenovecentonovanta spinse i dirigenti sovietici ad organizzare un tour invernale in Italia.

Il Cosenza di Mister Bruno Giorgi, dal canto suo, stava disputando un campionato al di sopra delle aspettative; i Lupi, neopromossi, stazionavano nelle posizioni nobili della classifica anche se proprio due giorni prima dell’amichevole, il dodici di Febbraio, avevano patito una sconfitta che a fine campionato avrebbe loro negato una clamorosa promozione in serie A: 3 a 1 allo stadio Zini di Cremona.

Le settemila persone che in quel mite quattordici di Febbraio accorsero al San Vito assistettero alla gara tra gli atleti locali, privi di giocatori del calibro di Venturin, Marino, Bergamini e Padovano ed i sovietici, che lamentavano invece le assenze di Zavarov e Dobrovolsky, in un clima di spensieratezza.

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La prima sgambatura dei sovietici sul suolo cosentino

I silani, spinti dalle folate di Urban, dalle magie di Lucchetti e sostenuti dalla prestanza di Castagnini si cimentarono nello sforzo di limitare la classe di gente come Protassov, Belanov (Pallone d’Oro nell’ottantasei) e Mikhailichenko. L’impegno del Cosenza non fu, tuttavia, sufficiente ad impedire ai vicecampioni d’Europa di espugnare il San Vito per due a zero. La formazione guidata da Lobanovsky, composta nella sua grande maggioranza da giocatori ucraini, si schierò con un sorprendente libero (Aleinikov) a dirigere le operazioni del pacchetto arretrato. La stella dell’incontro fu Mikhailichenko, che l’anno dopo avrebbe firmato per la Sampdoria. La sua classe, la sua chioma platinata e il fatto di aver realizzato il primo gol dell’incontro lo aiutarono ad essere ricordato come il matador dei Lupi insieme a Protassov, che mise la firma sul definitivo due a zero. Mentre sul versante casalingo fu Urban ad ascendere agli onori della cronaca, soprattutto per la sfortunata conclusione che centrò il palo della porta difesa da Chanov sul finire del primo tempo.

Sicuramente i dirigenti accompagnatori dell’URSS avranno segnalato a Mosca il comportamento eretico ed anarchico dei tifosi dei Lupi, cosa che non sarà sfuggita all’occhio cinico ma sornione del Colonnello Lobanovsky che, secondo la Gazzetta del Sud, «era un deciso sostenitore della politica del disgelo proposta dal suo amico Gorbaciov».

Cosenza-URSS fu, ad ogni modo, l’inizio della seconda vita di Sergei Aleinikov; il giocatore bielorusso, difatti, dopo aver sfiorato il tetto d’Europa con la sua nazionale nell’ottantotto, dopo aver vinto la Coppa UEFA con la Juventus l’anno successivo e aver galleggiato tra serie A e B con il Lecce ad inizio degli anni novanta decise di smettere di pensare alla sua carriera in termini di profitto per cominciare ad ascoltare il proprio cuore. Tale processo terminò quando, nella stagione ’97-’98, chiuse la propria traiettoria agonistica sulle sponde dello Ionio cosentino giocando per il Corigliano-Schiavonea.

«La mia squadra si è espressa bene, ma non posso dare giudizi sui nostri avversari tenuto conto che era la prima volta che li vedevo all’opera». La voce stanca e incerta del traduttore rimediato alla bisogna si levava nella vecchia sala stampa dello stadio San Vito al termine di quella che il colonnello Valerj, con il solito riconosciuto garbo sovietico, definiva «esperienza necessaria che ci ha permesso di incentivare il contatto con un’interessantissima realtà calcistica come quella italiana». 

Così la gara amichevole tra Cosenza e Unione Sovietica – che è cosa assai strana anche solo a sentirsi – era andata in archivio, almeno sul campo. In sala stampa Lobanovsky si dimostrò cortese pur non concedendosi più di tanto. Dribblando di netto i capziosi quesiti dei cronisti cosentini sulla crisi di Zavarov e le alterne sfortune di Dobrovolsky, si congedava lasciando rapidamente il campo al collega Bruno Giorgi e al buon Roberto Ranzani, il primo scomparso nel 2010 mentre il secondo, direttore sportivo e grande scopritore di talenti, pochi giorni fa a seguito di una brutta malattia. A preoccupare i tecnici rosso-blu non erano però il risultato o il gioco espresso, ma le condizioni del portierone Gigi Simoni, costretto ad abbandonare il rettangolo di gioco all’inizio della ripresa (sostituito dal dodici Fantini) per un forte dolore alla mano destra dopo un normale scontro di gioco con Mikhailichenko.

In attesa di accertamenti, il primo bollettino medico parlava di possibile frattura del quarto e quinto metacarpo della mano destra, in soldoni quaranta giorni di stop, diagnosi poi ampiamente confermata. Simoni in quella partita aveva dato il massimo parando di tutto e conquistandosi i complimenti del collega Chanov che difendeva i pali sovietici al posto del titolare Dassaev, rimasto in patria per infortunio. Ed è proprio il buon Gigi Simoni – che con i supporters cosentini conserva ancora oggi un rapporto speciale dovuto anche al suo impegno in seno all’Associazione “Verità per Denis” Bergamini – a svelare ben ventisette anni dopo in esclusiva per Mmasciata.it il segreto legato all’origine del proprio infortunio:

«Ora a distanza di anni posso svelare il mistero della frattura. Non mi ruppi il 4° e 5° metacarpo in uno scontro di gioco con Mikhailichenko ma in un diverbio nell’intervallo con il mio amico Urban.  Mi fece “incazzare” di brutto e allora io per non colpire Alberto scagliai un potentissimo destro sul mio armadietto, piegai la parete ma dopo qualche minuto mi si gonfiò la mano e dovetti uscire dal campo. Furono Giorgi e Ranzani (grandissimi!) a inventare la storia dello scontro con il fuoriclasse sovietico per non alimentare voci di dissidi all’interno dello spogliatoio che effettivamente non c’erano».

Da perfetti Apparatĉik  – termine russo sovente utilizzato per identificare un burocrate “apparato” di partito o governativo – Giorgi e Ranzani imposero e riuscirono a conservare quel segreto quasi di Stato schivando a priori i possibili affondi dei volponi della carta stampata e impartendo ai sovietici una sonora lezione di “guerra fredda”. Lo fecero per preservare l’integrità dello spogliatoio, bene supremo da tutelare. Quel giorno, almeno fuori dal campo, furono loro a pareggiare, se non addirittura vincere.

 

 

Per approfondire:

Archivio Storico di Gazzetta del Sud, articoli di Paolo Toscano nelle edizioni del 15 e 16 febbraio 1989.

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Il collettivo Mmasciata è un movimento di cultura giovanile nato nel 2002 in #Calabria. Si occupa di mediattivismo: LA NOSTRA VITA E' LA NOTIZIA PIU' IMPORTANTE.

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