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L’hanno visto col Mojito

Francesco Veltri
Francesco Veltri
Gennaio21/ 2019

 

C’è un film, molto vecchio e piuttosto modesto. Parla di un uomo non perfetto che una sera salva decine di persone da un disastro aereo. Sta passando casualmente con la sua macchina a pochi metri dal punto in cui quel mezzo enorme è precipitato senza però frantumarsi al suolo. Ma lo farà a momenti se nessuno interviene.

Vorrebbe fregarsene come è sempre stato abituato a fare, ma una forza imprevedibile lo spinge a tirare fuori da quell’inferno, una ad una, quelle vite sconosciute. E così, senza volerlo, diventa un eroe. Un eroe per caso, un eroe con la faccia scura, arrabbiata, di chi quella cosa lì proprio non se l’immaginava e neanche la voleva. Anche perché da uno come lui, nessuno si aspetterebbe mai un aiuto.

Quell’eroe, nella finzione, si chiama Bernie LaPlante. Nella vita reale Dustin Hoffman.

Ora, chi sta scrivendo sa bene di correre il rischio di scivolare nel più melenso, banale e forzato dei paragoni mai esistiti. Chi ha pensato (ahilùi) di riempire questa pagina bianca di parole a casaccio – e sta continuando a farlo nonostante l’angelo custode posizionato sul suo orecchio sinistro lo stia supplicando di fermarsi per il bene della sua credibilità futura – è consapevole (ma anche no) dei precipizi letterari a cui sta andando incontro. Ma ha deciso di non fermarsi, perché tanto la vita è una, è sua e citare opere più alte oggi proprio non gli va. Non gli va perché probabilmente le sue letture e i suoi film sono sempre stati noiosi e poi, il punto cruciale del discorso è che è di pallone, solo di pallone, che vuole discettare. Quindi basta con le paranoie e i complessi inutili e spazio aperto al confronto-citazione più improbabile.

E così, dunque, quasi magicamente, nei panni minuscoli di Bernie LaPlante, la fantasia del folle scrittore di serie B o C girone C, arriva a metterci dentro un gigante, alto un metro e 80 centimetri. Se lo inventa francese e con la pelle scura, ma nei modi e nella camminata – che poi ad un tratto diventerà corsa – sembra più italiano di un calabrese che vota Matteo Salvini. Anzi, a guardarlo meglio quel bestione che non ha neanche un capello sul suo cranio come i migliori Gigi del pianeta terra, dai gesti più semplici che compie ricorda un bruzio della migliore specie. Di quelli scanzonati, leggeri e testardi al tempo stesso. Ha il fisico del guerriero piegato, un sopracciglio quasi spezzato dalle battaglie della moda, ma i suoi occhi sono quelli di un bambino disilluso. Un bambino che vorrebbe sognare ogni giorno ma poi si stanca di farlo fino in fondo. Un bambino che ha voluto giocare sempre a modo suo, senza ascoltare i saggi consigli dei più grandi. Ed è rimasto solo, con le spalle voltate al mondo, incompiuto e incompreso.

Eccolo lì il gigante buono e quasi invisibile, scendere dalla sua macchina antica e raggiungere a passo lento e scocciato quell’aereo che sta per frantumarsi in un ricordo lontanissimo e doloroso. E’ il 69’ minuto della storia, del film più retorico dei film, e quell’uomo che fino a quel momento aveva trascinato la sua esistenza sfuggendo ai giorni memorabili, ha deciso di salvare quella gente rassegnata al peggio. Prova con tutte le energie che ha in corpo ad aprire il portellone e non ce la fa. Poi, però, all’improvviso, dall’ala destra dell’areo arriva un’ondata di vento che lo colpisce in pieno volto, donandogli una forza innaturale. Una forza che apre quel muro di metallo, spezza la rete e gli concede la gloria di una serata eterna.

Quando tutto è finito, lui se ne va. Potrebbe restare a godersi la festa e la fama inattesa fino all’ultimo goccio di vita. Vorrebbe, ma poi capisce che il suo destino è già altrove, è uguale a prima. Il suo destino è in quella macchina antica che lo ha portato, chissà come, fin laggiù per realizzare il desiderio di una notte che, però – forse un giorno lo comprenderà realmente -, resterà scolpito nelle menti dei passeggeri dell’aereo.

Messa in moto della macchina antica, sgommata, dissolvenza, the end sullo schermo e titoli di coda sommersi da “Sloop John B” dei Beach Boys che scorrono pigramente. Come la camminata in stile bruzio e inconsapevolmente romantico del protagonista del film, dell’eroe per caso Bernie Allan Pierre LaPlante Baclet.

Da premio Oscarì.

Francesco Veltri
Francesco Veltri

Guaribile romantico del giornalismo calabrese. Scrive per non dimenticare e si ostina a osservare l'inosservabile. Ha lavorato con alterne sfortune nelle redazioni della Provincia cosentina, di Cosenza Sport, di Cronaca della Calabria, di Calabria Ora e dell’Ora della Calabria. Per Diarkos ha scritto "Il Mediano di Mathausen"

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