Sono le cinque del mattino. Me ne accorgo perché al bianco lattiginoso dello schermo del mio pc, si aggiunge il blu dell’alba. Ho appena finito di pubblicare la rassegna stampa finora prodotta sul Calabria Pride, prima ho risposto a decine di email, ricontato i soldi (che sono sempre troppo pochi), segnato le prenotazioni delle magliette da spedire… meno male che sono abituata a fare le ore piccole.
Essere tra gli organizzatori del primo gay pride calabrese è roba da maratoneti: ufficialmente dovrei curare solo la comunicazione, praticamente faccio altre mille cose. E come me tutti gli altri, risucchiati da un vortice di faccende da mettere a posto, feste di raccolta fondi da organizzare, autobus da prenotare. Al Pride di Reggio Calabria manca meno di una settimana e sento che la mia liberazione da questo schermo è vicina, mentre spengo tutto e inizio a fare la lista mentale delle cose che non ho fatto in tempo a fare oggi.
Mentre cerco il sonno rumoroso di cinguettii di uccellini appena svegli, immagino ancora una volta la parata, le bandiere arcobaleno, la mia reflex appesa al collo mentre faccio su e giù per il corteo per controllare che tutto proceda bene. Mi viene il magone mentre vedo la gente sfilare sorridente, gay e lesbiche che si tengono per mano e si baciano per strada, immagino l’emozione di tutti, la soddisfazione di aver organizzato un evento storico per questa regione.
Ogni giorno, da quando sono tesoriere di Eos Arcigay Cosenza, mi ripeto che i miei diritti di eterosessuale dovranno essere i diritti di tutti. Voglio assistere al matrimonio di mio fratello Ivan, scelto per elezione e non per sangue, voglio vederlo insieme al suo compagno mentre si emozionano, vestiti da sposi. Voglio essere zia dei suoi figli che non gli somiglieranno, ma che saranno amati ugualmente, come se fossero naturali.
Voglio che tutti gli Ivan del mondo possano essere liberi di amare. Per questo sono le cinque e mezza del mattino e sto ripassando nella mente tutto quello che posso fare per questo Calabria Pride, tutto il necessario affinché non ci sia più bisogno di farne un altro, perché l’uguaglianza dei diritti sarà raggiunta.
Ho dormito poche ore, riaccendo il telefono sapendo che i mattinieri avranno già inviato decine di messaggi. Lascio che i bip continuino a trillare, mentre sistemo la valigia di magliette che avevo lasciato in disordine ieri. Poi inizia il giro di telefonate, i messaggi vocali di WhatsApp, il controllo della mail.
Coordinarsi a distanza con i comitati di Catanzaro e Reggio Calabria non è semplice, io sono sempre più stanca e più irascibile. Mi arrabbio, continuo a ripetere “ora basta”, poi penso che non posso mollare ora e continuo.
Mancano quattro giorni al primo gay pride calabrese a Reggio Calabria, chissà quanti ancora ne mancheranno prima che arrivi l’ultimo. Per il momento è ora di pranzo, venti minuti di pausa prima di ricominciare a caricare la rassegna stampa di oggi.