
Il confronto all’americana è quella procedura di riconoscimento di un presunto colpevole grazie all’esame visivo di testimoni o di vittime di un crimine di una fila di sospettati. Nel linguaggio della politica nostrana è diventato, per un efficace scherzo del destino, l’odierno faccia a faccia televisivo inaugurato da Kennedy e Nixon con il mitico “The Debate” del 1960. In Italia, con grande ritardo e pallido senso coloniale, la cosa sta lentamente diventando una buona pratica dimentica del fatto che dello stesso anno era un format Rai molto riuscito come quello della Tribuna elettorale della prima serata di RaiUno.
Il servizio pubblico calabrese, nell’ultima settimana di campagna elettorale per le Regionali2014, ha fatto un tentativo che si colloca in mezzo alle due cose, proponendo alle 15 e 10 un confronto fra i cinque candidati alla carica di presidente della giunta regionale. Non siamo in grado di verificare i dati auditel della trasmissione, ma a giudicare dall’impatto sui media sociali e sulla ricaduta in termine di agenzie si stampa, possiamo sostenere che del confronto non s’è accorto quasi nessuno.
ZERO HASHTAG Se il confronto su Sky in occasione delle Primarie del centrosinistra è passato alla storia come uno dei programmi tv più seguiti sui social, questo parente calabrese potrebbe fare lo stesso ma al contrario. Nemmeno un tweet, se si escludono quelli sterili di annuncio sui profili ufficiali di Nico D’Ascola e Wanda Ferro del tipo “Oggi in onda alle ore 15,10 sul TGR Calabria confronto con gli altri candidati presidente”. Nemmeno una traccia sugli hashtag (sistema di parole chiave che archivia i messaggi in base agli argomenti caldi) #regionali2014 o #calabria. La sentenza di twitter è affidata alla brillante Tania Ruffa, giovane militante vibonese del Pd seguita da oltre 12mila follower.
LA PROVA CAFFE’ Il giornalista Gennaro Cosentino, dando la linea alla regia alle 15 e 50, ha parlato di confronto sereno e pacato. Talmente vero che chi l’ha visto ha dovuto confidare nel caffè pomeridiano tenendo ben lontano dalla portata il telecomando. La par condicio (questa sconosciuta) si è dimostrata ancora una volta una questione di qualità dei tempi e degli spazi più che della loro equivalenza, e i candidati si sono tenuti ben lontani dall’alzare il livello dello scontro sui contenuti. Mario Oliverio è stato fedele a se stesso, seppur a disagio con qualche zeta ha insistito su quanto fatto nei lunghi anni di governo amministrativo, rintuzzando i principali competitors (D’Ascola lo chiama “D’Ascola”, la Ferro la chiama più volte “Wanda”) solo per la loro vicinanza politica alle passate esperienze scopellitiane. Il politologia si chiama “retrospective voting” e funziona. Prova a farne uso esteso alle passate legislature (roba che funziona di meno) anche il candidato del Movimento Cinque stelle Nuccio Cantelmi quando, efficace e sintetico, non perde occasione per ricordare che quella che lo sostiene è una lista senza indagati e che in giro per la Calabria sta vedendo territori in base a degrado e incuria, citando il solo San Giovanni in Fiore, città di provenienza di Oliverio. Poi nel finale prova a giocarsi la carta di un salario di sostegno di 480 euro per i calabresi in difficoltà. Domenico Gattuso appare un po’ un pesce fuor d’acqua. Il professore dell’Altra Calabria mette l’accento sui suoi punti programmatici che, a differenza degli altri enuclea nero su bianco e prova a usare il poco e cattivo tempo che gli danno per elencarli, poco più. Perde anche l’assist del conduttore sulle proposte in tema di trasporti e spiega che il quorum non lo tormenta perché la sua battaglia continuerà. Il senatore Nico D’Ascola di Alternativa Popolare si presenta con eleganza ed eloquio proprie della sua storia professionale, ma non si allontana molto dalla scolastica enunciazione di qualche verità diffusa. A suo agio con il format e la telecamera è sembrata più di tutti Wanda Ferro di Forza Italia, unica donna in studio, che ha persino provato a entrare nel merito di alcune spinose questioni come quella della discarica di Celico, ma l’impressione generale è stata quella di un rito ormai quasi obbligato, con nessuno che ha dimostrato di credere in questa occasione per spostare fette di consenso elettorale.
Di qui la domanda che una volta sorgeva spontanea: se per creare consenso non fanno leva su un confronto diretto in onda sulla rete pubblica ad una settimana dal voto, su cos’altro mai punteranno?