Di radente tensione si è lastricata la salita del liceo. Nella ribelle Cosenza di lacrimogeni non se ne aveva memoria recente. Il ricordo di ieri sera, invece, rimarrà nei prossimi anni.
I temuti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine per l’arrivo in città del premier Matteo Renzi si sono visti in tutta Italia. A un ragazzo giovanissimo hanno spaccato la nuca, e ci sono diversi contusi, ma poteva andare molto peggio, davvero.
Il Presidente del Consiglio si è fatto attendere molto, doveva ancora arrivare in città quando il corteo di protesta giungeva al Rubicone scelto dai tutori della forza pubblica. Il centro storico di Cosenza, dalla salita del liceo Classico in poi, era zona rossa. Stavolta significa altro. La piazza che ospita il Telesio pensante era off limits per i manifestanti, una compatta centinaia fra centri sociali, occupanti, ambientalisti, precari e ultras che dopo aver risalito chiassosamente tutto il corso principale si è vista la strada sbarrata. Il dissenso non era autorizzato oltre quel valico. Un mezzo della polizia di Stato di traverso e agenti in tenuta antisommossa a fare da diòscuri al potere costituito.
Manca poco alle 18 quando i protestanti, preceduti da una fiacca panda con gli altoparlanti, arrivano in Piazza Duomo. Sosta davanti al patrimonio Unesco di Cosenza perché molti in divisa escono all’ultimo momento utile dalla messa per spostare le auto messe in sosta (teoricamente vietata) sui lati del Duomo in cui si sta celebrando la Virgo Fidelis, patrona dell’Arma dei carabinieri. Poi l’arrivo alla salita. Davanti al liceo sono schierati altri agenti, non c’è via di fuga possibile se non quella del ritorno. A centro metri c’è la prima al Rendano, di fronte il maxischermo nella zona transennata, poi l’auditorium Guarasci, già pieno alle 17 e 30 per sentire le parole del Capo del governo. In pochi metri si gioca tutto, e tutti sono prigionieri della posizione acquisita in quel momento. Una follia.
Davanti alla zona rossa si forma un cordone di sicurezza fra i ribelli, davanti agli striscioni, da dietro li spinge il bofonchio del microfono con i perché della protesta sociale, mentre la testa del corteo lentamente avanza verso l’unico pertugio possibile per un’avanzata. La pressione aumenta con il passare dei minuti, si attende l’inevitabile. Le contestazioni ironiche fanno da segnale. In poco tempo si passa alle urla e agli spintoni. Due forze contrarie si fronteggiano, ma senza particolari sussulti. Ci si calma. Dieci minuti e il ballo riparte, e stavolta sono subito botte da orbi. In molti, nelle fila che accerchiavano gli scudi, vanno al contatto fisico. L’odio sociale si manifesta in modo plastico. I manganelli continuano a roteare sulle teste, dalle retrovie del corteo scintilla un fumogeno rosso sopra le teste in prima fila. Volano bottiglie di vetro sulle mura del palazzo che fa da argine ai lunghi istanti di violenza e di tensione altissima. Poi arrivano i lacrimogeni. Ti urtano addosso, poi senti il metallo contro il pavimento, la botta prima del fumo, che improvviso dal bagliore assale le vie respiratorie, succede sempre così.
Fasi molto confuse in cui le scie di fumo le si vede volare da una parte all’altra e poi ancora. Si fugge all’indietro, si tossisce e piegati in due si vomita nei ripari di largo Antoniozzi (guarda il video). Vola di tutto, anche i tavoli del bar, sembra non finire mai, ma finisce anche stavolta. Il corteo si ricompatta, ricompone i suoi passi e il suo grido:
– “Vogliamo diritti – ci date polizia – questa è la vostra – demo – crazia”.