di Camillo Giuliani
Un funerale così lungo e partecipato non si era mai visto. Più di mezza giornata, dalla mattina a tarda sera. La gente, oltre un milione di persone, tutta assieme eppure così eterogenea: quelli che ricordavano i momenti trascorsi con l’amico che non c’era più e piangevano pensando che ormai riviverli era impossibile; quelli infuriati; quelli che deridevano il morto; quelli distaccati, che sembravano quasi partecipare per inerzia. La bara, enorme, avanzava lenta, trasportata da una trentina di persone: facce note al corteo alle loro spalle, che osservava con malcelato disprezzo i portantini mentre si dirigevano verso la fossa comune. Questi ultimi, schiacciati dal peso dei loro anni che si aggiungeva a quello del feretro, non smettevano mai di sorridere mentre recitavano vuote preghiere in onore del defunto.
Altrove, ma col pensiero alla processione funebre che si svolgeva poco distante, c’erano quelli che avevano preferito andare a salutare un’ultima volta l’amico scomparso a modo loro perché non sopportavano di vederlo in una bara. Erano andati a dirgli addio a scuola, dove erano cresciuti assieme sognando un mondo bellissimo che poi non era arrivato. Pensavano di fargli omaggio così, anche se poi vicino ai banchi avevano trovato un sacco di gente – non tutta per fortuna, si ripetevano per consolarsi – che evocava ricordi sgradevoli: brutte facce, morti di fame e questuanti, tizi che avevano visto in ospedale, politicanti e intrallazzatori.
Forse andare al funerale sarebbe stato un modo migliore per ricordarlo. Oppure no, sapere che qualcuno era andato a scuola gli sarebbe piaciuto. O forse, chissà… forse lui si sarebbe potuto salvare se gli amici gli fossero stati più vicini, se non l’avessero lasciato solo e in balia di quelli che lo avevano ammazzato. Sì, lo avevano ammazzato, i colpevoli erano noti a tutti eppure l’avevano fatta franca. Inutile e tardivo pensarci col senno di poi, tanto ormai era morto e sepolto.
II funerale si era concluso quando mancava un’ora a mezzanotte, ma l’indomani se ne parlava ancora. Sarebbe stato così ancora per qualche giorno, con sempre meno persone a portare fiori sulla tomba. In pochi avrebbero compianto la vittima finché i giornali non avessero ritirato fuori quella storia per qualche anniversario della scomparsa. Arrivato il Natale, della morte del voto di opinione non fregava già più niente a nessuno.
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Giornalista bassista on the road, ritardato a L'Ora della Calabria poi forcaiolo al Garantista. Come Forlani, se qualcuno non avesse avuto l'ardire di servirglielo fritto al ristorante non avrebbe mai saputo dell'esistenza del cervello.
VOTO D’OPINIONE | Cronaca di una morte annunciata.
Camillo Giuliani
di Camillo Giuliani
Un funerale così lungo e partecipato non si era mai visto. Più di mezza giornata, dalla mattina a tarda sera. La gente, oltre un milione di persone, tutta assieme eppure così eterogenea: quelli che ricordavano i momenti trascorsi con l’amico che non c’era più e piangevano pensando che ormai riviverli era impossibile; quelli infuriati; quelli che deridevano il morto; quelli distaccati, che sembravano quasi partecipare per inerzia. La bara, enorme, avanzava lenta, trasportata da una trentina di persone: facce note al corteo alle loro spalle, che osservava con malcelato disprezzo i portantini mentre si dirigevano verso la fossa comune. Questi ultimi, schiacciati dal peso dei loro anni che si aggiungeva a quello del feretro, non smettevano mai di sorridere mentre recitavano vuote preghiere in onore del defunto.
Altrove, ma col pensiero alla processione funebre che si svolgeva poco distante, c’erano quelli che avevano preferito andare a salutare un’ultima volta l’amico scomparso a modo loro perché non sopportavano di vederlo in una bara. Erano andati a dirgli addio a scuola, dove erano cresciuti assieme sognando un mondo bellissimo che poi non era arrivato. Pensavano di fargli omaggio così, anche se poi vicino ai banchi avevano trovato un sacco di gente – non tutta per fortuna, si ripetevano per consolarsi – che evocava ricordi sgradevoli: brutte facce, morti di fame e questuanti, tizi che avevano visto in ospedale, politicanti e intrallazzatori.
Forse andare al funerale sarebbe stato un modo migliore per ricordarlo. Oppure no, sapere che qualcuno era andato a scuola gli sarebbe piaciuto. O forse, chissà… forse lui si sarebbe potuto salvare se gli amici gli fossero stati più vicini, se non l’avessero lasciato solo e in balia di quelli che lo avevano ammazzato. Sì, lo avevano ammazzato, i colpevoli erano noti a tutti eppure l’avevano fatta franca. Inutile e tardivo pensarci col senno di poi, tanto ormai era morto e sepolto.
II funerale si era concluso quando mancava un’ora a mezzanotte, ma l’indomani se ne parlava ancora. Sarebbe stato così ancora per qualche giorno, con sempre meno persone a portare fiori sulla tomba. In pochi avrebbero compianto la vittima finché i giornali non avessero ritirato fuori quella storia per qualche anniversario della scomparsa. Arrivato il Natale, della morte del voto di opinione non fregava già più niente a nessuno.
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