«Viviamo in una zona abbandonata da Dio e da tutti , dalla politica solo promesse non mantenute, il Comune deve risanare questa strada oppure chiuderla perché impraticabile. Prima o poi qualcuno ci si farà male». Le parole di Antonio De Luca, residente da più di 30 anni in contrada Caricchio a Cosenza, aprono uno squarcio di luce su una delle tante periferie urbane a stretta vocazione agricola, ormai stretta in una morsa di degrado, abusivismo e dissesto idrogeologico apparentemente senza uscita. Insieme alla vicina Casali, la contrada bruzia negli ultimi dieci anni è andata progressivamente assumendo le sembianze dello sfogatoio purulento di una città che stenta a digerire e praticare modelli di sviluppo fondati sul rispetto delle leggi ma soprattutto della natura.
L’EX NAVE SOCIALE Tra scene di ordinario pattume, arricchito da diverse lastre di eternit malcelato all’interno di grossi sacchi a bordo strada, procedendo sulla piccola arteria stradale che congiunge via Donato Bendicenti a via Casali, si arriva davanti a uno dei luoghi storici dell’accoglienza e socialità cittadina, cattolica prima, antagonista e “rossa” poi, oggi tutto è (irrimediabilmente?) segnato dal tempo e dall’abbandono. L’imponente fabbricato dell’ex Villaggio del fanciullo, successivamente Centro sociale Gramna è un palazzone su tre piani e diverse centinaia di metri quadri dalle evidenti sembianze di un grosso natante alla deriva, patrimonio comunale relegato ormai da anni all’oblio. Varata il 28 maggio del 1950 grazie all’opera benefica del parroco di San Gaetano, Don Luigi Maletta, nella “nave di Caricchio” trovavano un posto letto, un pasto caldo, l’avvio allo studio o all’apprendistato tutti gli orfani e diseredati della città provenienti soprattutto dai rioni Massa, Lungo Crati e Spirito Santo. Un piccolo miracolo di dedizione da parte del sacerdote operaio definito a più voci il padre per chi padre non ha e il padre che porta al Padre e che spalancò le braccia a circa 200 fanciulli abbandonati, guadagnandosi la stima e le belle parole di Papa Pacelli, Pio XII: Un’opera meravigliosa di carità cristiana. Dopo la morte del religioso avvenuta nel 1975 la struttura, passata all’Ente comunale di assistenza, cadde praticamente in disuso fino al 1996. Oltre cinquanta attivisti che solo 6 anni prima con l’occupazione del Cinema Italia avevano dato vita al primo spazio sociale autogestito della città, dedicandolo allo storico vascello che nel 1956 condusse i barbudos cubani verso la Revolution, vi si trasferirono in massa. Nell’ex orfanatrofio – raccontano Claudio Dionesalvi e Silvio Messinetti – trovarono sede di sperimentazione quegli stili di vita che, grazie all’influenza della vicina Università di Arcavacata, Cosenza aveva già in parte assorbito negli anni Settanta. Il computer collegato con le BBS di Milano, Roma, Padova, prefigurava internet e catalizzava un agire comunicativo. Suonarono sul palco oltre cento gruppi musicali, richiamando migliaia di giovani dal resto della Calabria.
BOMBA ECOLOGICA Abbandonata nuovamente all’alba del nuovo millennio, quella che era stata la libera nave dell’accoglienza negli ultimi anni si è trasformata in un invalicabile fortino di degrado. Se qualcuno occupa questi stabili , è sicuro meno accogliente di chi l’ha preceduto, visti i mastini posizionati davanti all’ingresso. La fotografia aerea di Google segnala la presenza di attività agricole o legate alla pastorizia, in particolare all’allevamento di equini. I ricoveri abusivi di animali che nel corso degli ultimi 10 anni sono scomparsi da via Lungo Busento Oberdan, anche per effetto del progressivo processo di riqualificazione, potrebbero aver trovato sistemazione in questo luogo periferico, lontano da occhi indiscreti. L’odore di stallatico misto a quello di carne in decomposizione rende ancor più spiacevole la sosta: tutt’intorno costruzioni abusive in lamiera e muratura tirate su in totale disaccordo e spregio del paesaggio circostante. Lungo la strada un beffardo cartello “vietato gettare rifiuti” è il preludio a una vera e propria bomba ecologica che esplode poco oltre il parapetto. Quintali di spazzatura sversati dalla strada minacciano il torrente Caricchio, affluente del Crati, poco più di un rigagnolo immerso in una vegetazione rigogliosa. Poco più a valle avventurosi pescatori prelevano dalle sue acque. Guardando al florido passato di questa contrada, viene spontaneo chiedersi perché si è lasciato che l’incuria e l’abusivismo prendessero il sopravvento su quest’angolo di quiete e verde a pochi passi dalla città?