di Matteo Dalena
Provengono da Ardore Marina, paesino di 1400 anime ad un tiro di schioppo da Bovalino, quattro fogli inediti contenenti scrittura a penna nera recante tremori, cancellature e incertezze. Il contenuto di queste pagine ci riporta agli albori della letteratura sulla‘ndrangheta, al periodo tra il 1942 e il 1945, quando ancora Leonardo Sciascia non aveva nemmeno cominciato a pensare ad un genere “mafia” e leggeva, per mezzo dello scrittore Mario La Cava, i fogli di un certo veterinario di San Nicola d’Ardore. Gli stessi, di proprietà di Peppe Rocca “unico erede e custode di casa Montalto”, recano in calce la firma di Francesco Barillaro e rappresentano l’incipit e la conclusione di “La famiglia Montalbano” e “Matrimonio clandestino” due romanzi dello scrittore Saverio Montalto recentemente editi da Periferia.
Francesco e Saverio sono in realtà la stessa persona. Il nome d’arte del veterinario ardorese nasce nel carcere di Aversa, dove lo stesso è confinato a seguito di un momento di raptus omicida. Il 17 novembre del 1940, a Bovalino, Francesco Barillaro litiga col cognato che, con modi arroganti, reclama una lettera che conterrebbe le prove di una tresca amorosa tra sua sorella (moglie del Barillaro) e il medico di famiglia. E’ un attimo: il primo colpo di pistola raggiunge mortalmente la sorella del Barillaro, gli altri due feriscono moglie e cognato. Poi l’arma s’inceppa, i vicini riescono a placare la furia del veterinario ardorese che, letteralmente sconvolto, si reca nella locale stazione dei carabinieri. Qui la sorpresa: sottoposto a serrati interrogatori, Barillaro spiega ai giudici che non è lui il responsabile del delitto, additando i parenti della moglie a causa del loro comportamento mafioso e arrogante.
Dietro le sbarre nasce lo scrittore Saverio Montalto giacché “solo lo scrivere mi faceva evadere e mi dava un po’ di tregua sui continui travagli raccontati nel memoriale”. E’ proprio in questo “Memoriale dal carcere” (edito da Lerici nel 1957) che Saverio Montalto tenta la strada dell’autodifesa sul modello di Apuleio: una logica folle sottende ad argomentazioni stringenti ed avvincenti con le quali prova a dimostrare la propria innocenza. Proprio grazie a quelle righe i giudici accolgono la richiesta della difesa, inviandolo sotto osservazione nella più accettabile colonia penale di Aversa. Qui vengono pensate le due opere di cui oggi possediamo incipit e conclusione.
La famiglia Montalbano e Matrimonio clandestino, due romanzi che focalizzano in maniera organica il fenomeno mafioso nella periferia dell’Italia della prima metà del ‘900. Due opere scritte ma vissute dal di dentro, in prima persona, da veterinario, professione che attivava vicinanze, conoscenze malavitose e aggregate in mafia, o meglio in “maffia”, come lui la chiama nel primo dei due. E’ proprio qui che ci imbattiamo in Cola Napoli, partigiano della legalità, si colloca dalla parte degli “stronzilli” rifiutando l’ingresso nella “famiglia Montalbano” al cui vertice è assiso il capo bastone Gianni della Zoppa che ne decreterà l’eliminazione fisica. La stessa eliminazione indotta della sartina Rosina protagonista di “Matrimonio clandestino”. La donna è attratta dal mafioso locale Gim che riesce, per mezzo di diabolici stratagemmi e grazie alla collusione dei pochi notabili del paese, a metterla incinta e ad inventare un matrimonio clandestino per sottrarle i pochi risparmi. Rifiutando un destino di prostituzione “che poco è più morte”, preferisce annegare nelle acque ioniche che bagnano il suo paesello. Inghiottita, come le carte del “processo Barillaro” che, se non ancora distrutte giacciono, crediamo, in un polveroso stanzone di un qualche tribunale della nostra terra.
“C’è la volontà da parte nostra di recuperare le carte del processo – precisa il suo unico erede – per stabilire la verità storica e le dinamiche che lo condussero a quel momento di raptus omicida. Allegato al processo dovrebbe esserci il suo memoriale e, in qualità di unico erede, ho il dovere di trovarlo per capire il perché e il per come di quel gesto e portarne a conoscenza gli estimatori di mio zio e della sua letteratura. Quando il 7 settembre 1977, nella sua casa di Ardore Marina, si spense Saverio Montalto, pseudonimo di Francesco Saverio Barillaro, il suo caro amico Pasquino Crupi lo volle ricordare, in un articolo apparso sulla Gazzetta del Sud, come uomo, amico e scrittore. L’illustre studioso concluse con queste parole: “Il tempo non si dimenticherà di Saverio Montalto”. E’ con grande rammarico e tristezza che debbo dire al caro prof. Crupi che, a distanza di 35 anni dalla scomparsa del suo amico, non solo il tempo, ma gli uomini e, ancora più grave, i suoi amici, assorbiti dagli impegni della vita, si sono dimenticati di Saverio Montalto”.