Quella che dovunque è un’ora in più per riposare, qui è un’ora in più per tremare. Gli stivali sul ciglio del portone di casa lasciato semiaperto. Si potrebbe scegliere questa immagine di Mormanno all’ora di pranzo per spiegare a un uomo atterrato dalla Luna cosa significhi essere calabrese. La sera invece, le mamme intimano ai figli di andare a dormire lavati e con il pigiama pulito perché ci si presenti dignitosi in caso di emergenza, ma non è un’usanza esclusiva della gente che qui sul Pollino convive da due anni con la terra ballerina. Lungo tutta questa terra sottile c’è la consapevolezza di abitare un posto precario.
“Figlio mio, è toccato a noi”, dice come ad auto consolarsi la signora anziana riapparsa dalla porticina di una scura cantina. Cerca di tornare alla normalità, di far passare il tempo e con lui la paura. Le olive le controlla una alla volta. “Ho visto che qui la struttura è più sicura e ho portato le cose della campagna, casa mia ha i muri tutti sfilati, non sto tranquilla, anche se io dico che ormai non torna più”. Non la nomina mai, la grande paura, ma ci racconta come nella sua lunga vita ha avuto tante volte modo di tenerle testa, come un evento brutto, ma naturale.
Sul colle la notte ha tremato altre tre volte fra venerdì e sabato e il mattino, e cinque volte la notte fra sabato e domenica. Il mattino ha il volto della pioggia battente sui vetri delle automobili, ancora giaciglio di fortuna preferito dai cittadini, nonostante nella palestra del liceo siano disponibili 50 lettini. La pioggia è forte, a volte diventa fortissima e complica tutto, in una situazione psicologica già molto delicata.
All’ospedale Minervini chiedono a tutti quelli in possesso di una macchina fotografica di zoomare verso la montagna, ci sono delle piccole fumaiole e hanno tutti paura che si tratti di frane. In realtà si tratta solo di accumuli di nebbia, ma la psicosi è giustificata: la montagna qui è come una candela che brucia da due lati. Zona a forte rischio sismico e di dissesto idrogeologico, come spiegano gli ospiti delle postazioni tv nazionali messesi proprio all’ingresso del nosocomio sgomberato. Dietro di loro, il personale fa chiasso perché la chiusura temporanea non diventi definitiva. “Non lasciate che ci smembrino, scioperiamo colleghi!” grida un rappresentante sindacale, dietro di lui i trenini di caschi gialli spuntano nei corridoi a rendere la scena paradossale. Mentre tutti guardano il ritorno di Berlusconi nei monitor di servizio la notizia confermata: inagibile, via tutti.
Inagibile come la meravigliosa cattedrale di Santa Maria del Colle. Un pompiere ha finito la ricognizione di due ore all’interno del Duomo e consuma la sigaretta a riparo dalla pioggia, la piazza è deserta, un solo bar aperto, di fronte all’ufficio turistico, dove è stato messo un uomo della Protezione civile a raccogliere e smistare informazioni. “Gli antichi ci sapevano fare, la struttura esterna è solida, ma dentro la situazione è critica – ci spiega l’uomo ancora col casco indosso – archi e volte sono vecchissimi, in caso di un’altra scossa forte non voglio immaginare cosa ne sarà di questa meraviglia”.
I mezzi dei Vigili del fuoco e della Prociv si danno il cambio in una staffetta incessante. Su 21 case segnalate con evidenti lesioni 13 sono state dichiarate inagibili, chi ha la casa a posto ha invitato a pranzo i vicini più sfortunati, ma non resta tranquillo: “Se è inagibile quella affianco, in caso di crollo capisce che per noi cambia poco”. La considerazione è dettata dal fatto che il centro storico, tenuto bene, ha la tradizionale costruzione a pugno chiuso, con le case una appoggiata all’altra. Sulle viuzze e le scalinate che si fanno strada in un labirinto colorato spesso si trovano i residui dei calcinacci caduti in quella maledetta notte. Seguiamo una squadra di pompieri in un intervento molto delicato. A casa di una signora anziana c’è la preoccupazione che dal tetto dei vicini cadano alcuni massi. La segnalazione l’ha fatta il figlio, che ci guida su via Corrado Alvaro: una casa sgomberata su quattro.
Si tratta di grosse pietre usate per tenere ferme le tegole, incastrate sul tetto senza alcuna cementificazione. L’intervento, sotto la pioggia battente, è delicatissimo, ma finisce bene. Nemmeno il tempo di un caffè che si parte verso la prossima segnalazione. Molte case come quelle sono disabitate, di proprietà dei molti emigrati che ne fanno uso solo durante il periodo estivo, oppure di persone che per paura se ne sono disinteressate. Nella piazza, sotto l’ombrello, compaiono ragazzi col trolley, sono venuti a prendere le cose che avevano lasciato la notte prima, stanno andando via. In un vicoletto invece spuntano due coniugi anziani, quasi la scena opposta. Sono tornati senza niente in mano: “Alla prima scossa l’altra notte, ce ne siamo andati in campagna per la paura”. La casa del paese intanto cedeva: “C’è una crepa grande sul muro del soggiorno e due nella stanza da letto e nel bagno, non sappiamo se i vigili l’hanno potuta controllare, abbiamo paura a ritornarci”. Vanno dalla figlia per un boccone accompagnato dalle parole del Papa, ma nel pomeriggio toccherà fare un altro giro in terra per cercare qualcuno che possa aiutarli.
Quand’erano bambini i genitori al mattino li portavano all’ingresso del paese per mostrargli le tracce dei lupi sulla neve, così che imparassero ad avere paura e rispetto della notte e della montagna.
Oggi entrambe sono attese un’ora prima del solito.
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