Non buttate giù subito. La storia degli operatori di InfoContact merita di essere ascoltata fino in fondo. Parliamo di operatori di call center decisamente bravi e persuasivi, con livelli di produzione aziendali molto alti, tanto che tutti lavorano sereni e tranquilli per mesi. Poi però, capita che un giorno di dicembre del 2013, salta fuori un buco in bilancio da decine di milioni di euro e che l’azienda va in crisi con conseguente avvio al fallimento. Iniziò così, dal nulla, il calvario dei dipendenti che, pochi giorni fa, dopo un’affollata riunione allo spazio sociale Sparrow di Rende (vicino Cosenza), hanno deciso di continuare a fare quello che hanno sempre fatto, ovvero il proprio lavoro di vendita e assistenza, ma facendolo “male”. Che significa? Che hanno “dimenticato” tutte le regole e le tecniche imparate negli anni e che di conseguenza nessun cliente si è convinto a provare i prodotti o servizi offerti. Totale delle vendite: zero. E non era mai successo. Nemmeno quando gli operatori e i team leader sono rimasti senza stipendio per qualche tempo era accaduto che non ci fossero vendite in un giorno. C’è da credere che se le cose non cambieranno altre proteste clamorose saranno messe in atto, sicuramente dalla sede della zona industriale di Rende, l’ennesima sorta di “Silicon Valley” dei call center.
INFOCONTACT IN MENO DI VENTI RIGHE Tocca fare un passo indietro. InfoContact è un’azienda di proprietà delle famiglie Graziani e Pane, nata a Roma nel 2007, conta su una sede legale nella Capitale ma è in Calabria che ha il cuore produttivo con due sedi centrali a Lamezia Terme e Rende e le sedi periferiche posizionate a Celico, Girifalco e Serra San Bruno. A portarli nella regione più povera d’Italia è la possibilità di sfruttare i fondi per il lavoro con annessi sgravi fiscali, i fondi Por e altre risorse finanziarie fornite dalla comunità europea. Ciò permette all’azienda di fare molte assunzioni a tempo indeterminato, anche se non mancano figure part-time, il totale è di oltre 1800 dipendenti. Il personale lavora bene, l’ambiente è sereno e produttivo anche perché i clienti sono forti: Poste Mobile, Wind, Vodafone, Enel Energia, Banco Santander, Con te assicurazioni e il relativo servizio 1244 e finanche il centralino del Corriere della Sera. Per questi clienti si fa sia assistenza sia vendita. Gli sgravi però tendono a diminuire per definizione, e i costi aumentano a dismisura. A dicembre del 2013 il Tribunale di Lamezia Terme e la Guardia di Finanza scoprono infatti che InfoContact ha un debito con l’erario di circa 64 milioni di euro, nonostante le commesse andassero bene: dopo pochi mesi inizia il braccio di ferro dei pagamenti. Inizia la famosa battaglia dei #1800senzafuturo che porterà a proteste clamorose e coinvolgerà anche Rosario Fiorello, in quanto testimonial della Wind. Già, perché, nel momento più caldo del negoziato tra proprietà, ministero e candidati acquirenti, Wind-Infostrada (che con Fiore si schiererà dalla parte dei lavoratori) aveva minacciato di sospendere il contratto con la società di Lamezia Terme. La vicenda diventa simbolica per tutto il Paese, poiché l’obiettivo dei sindacati è stato quello di far applicare de facto, e per la prima volta in Italia, la normativa comunitaria 23/2001 che lega i lavoratori alle commesse e non alle società, che nel frattempo chiudono o falliscono, come la Infocontact, che con il passare dei mesi è entrata in amministrazione straordinaria e in tre mesi è stata venduta a due big del settore (Abramo Lamezia e ComData per Rende) che ora si impegnano a salvare larga parte dei posti di lavoro a patto che si completino 100 esuberi, si chiudano le sedi periferiche e si azzerino gli scatti di anzianità, con la possibilità di altri tagli al personale dopo due anni.
LA RIVOLTA DEL CAMPAGNANO Se a Lamezia le cose si indirizzano verso una soluzione, a Rende, sorella minore, i problemi continuano con meno risalto mediatico. Nella sede della cittadina attraversata dal fiume Campagnano si lavora soprattutto per Enel Energia e a farlo sono circa 400 persone che ritengono inaccettabili le proposte ricevute di modifiche contrattuali e che si ritrovano in assemblea, fuori dall’orario lavorativo e tenuta, allo Sparrow. Qui, siamo a pochi giorni fa, si decide il rifiuto del contratto a quattro ore e una protesta che prevede blocco totale delle vendite e la riduzione drastica della produttività. Come? Facendo proposte di vendita ma fuori dalle tecniche acquisite
nel tempo. Un’azione non punita dalla Legge e molto efficace, che rischia ancora una volta di fare scuola. L’obiettivo insomma è quello di mantenere il numero del personale in toto perché, sostengono i dipendenti, il lavoro e la qualità non sono mai cambiati. “Siamo lavoratori di qualità, e il lavoro deve avere pari dignità da Nord a SudSiamo condannati ad un futuro a salario ridotto. Una proposta di vendita che lascia fuori circa 100 persone, riduce il salario ad altre 1000 e mette centinaia di lavoratori precari dei centri periferici nelle condizioni di non poter continuare a lavorare”. Con queste parole le organizzazioni sindacali hanno indetto lo stato di agitazione e dopo un sit in alla sede Rai di Cosenza (fuori dall’orario di lavoro) le Rsu di Slc Fistel e Uilcom hanno indetto nei prossimi giorni uno sciopero di 2 ore con contestuali iniziative di protesta per sostenere le ragioni di 1590 lavoratrici e lavoratori calabresi. I lavoratori della sede di Rende e dei centri periferici collegati, sciopereranno dalle 16.00 alle 18.00, poi toccherà ai colleghi di Lamezia.
Come noto, si naviga a vista in un settore sempre più nevralgico seppur carente di regole certe, ma si naviga con dignità. Che parta proprio dal profondo Sud un nuovo moto d’orgoglio lavorativo che possa cambiare i rapporti di lavoro del settore? Lo scopriremo quando si giungerà in porto.