In Italia la famiglia è sacra e guai a chi la tocca. Eppure a qualcuno piacerebbe toccarla, stimolarla e, se è il caso, portarla nientepopodimenoche nel 2015. Il problema, però, è che certe espansioni, in un Paese dominato dalla morale cattolica, non piacciono. La Chiesa cattolica sull’argomento pare essersi spaccata in due, e forse anche in tre, con il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca e stretto collaboratore di Papa Francesco, che qualche settimana ha dichiarato: «Non siamo una filiale di Roma e non possiamo aspettare fino a quando un Sinodo ci dirà come dobbiamo comportarci qui sul matrimonio e la pastorale familiare». Il punto è questo: i vescovi tedeschi, considerati progressisti, vorrebbero portare in tempi rapidi una rivoluzione culturale e storica all’interno della Chiesa cattolica per quel che riguarda il modo di intendere il concetto di famiglia, mentre una parte considerevole e soprattutto potente del Vaticano non ha nessuna intenzione di cambiare le regole. Una presa di posizione che ha portato Marx e compagni (ops, forse sarebbe il caso di chiamarli fratelli, padri o cose del genere) a dichiarare che sulla vicenda in questione non prenderanno ordini da nessuno e andranno avanti per la loro strada. Apriti cielo (non in quel senso)! La dura presa di posizione del porporato dal nome pericoloso ha fatto infuriare i vescovi e i cardinali conservatori. Per loro il mondo non è ancora pronto a concedere ufficialmente una famiglia e una comunione ai divorziati risposati, ad accogliere le coppie conviventi, etero ed omosessuali.
A dar manforte a tale tesi ci pensa la politica. Pensiamo al Veneto governato dalla Lega Nord o alla Reggio Calabria del nuovo corso renziano dove, martedì scorso, il consiglio comunale ha offerto uno spettacolo d’altri tempi. Il tutto pare esser nato dalla mente illuminata del consigliere di Forza Italia Massimo Ripepi, che ha presentato in aula una mozione contro l’applicazione del “Documento Standard per l’educazione sessuale in Europa”, redatto dall’Ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e contro l’introduzione nell’ordinamento giuridico di disposizioni normative tali da alterare la struttura della famiglia. Il documento che propone una festa della “famiglia naturale” e punta a tutelare la sola unione uomo-donna, condannando ogni apertura al riconoscimento delle unioni gay e ogni tentativo di educare i giovani nelle scuole alla non discriminazione, è stato votato all’unanimità, con l’astensione unica del presidente del Consiglio, eletto nelle file del Partito Democratico, Demetrio Delfino. Il resto del partito di Renzi ha dato l’ok. Apriti cielo (stavolta anche in quel senso)! Il primo ad indignarsi per la decisione del consiglio è stato Aurelio Mancuso, Componente della Commissione Nazionale di Garanzia del Pd, nonché esponente nazionale della comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). «Il documento – ha dichiarato – istituisce la giornata della Famiglia Naturale, contrapposta a una supposta campagna “omosessualista” propugnata dall’Unar fondata sulle pericolose teorie gender, che ammantate da “un’inesistente omofobia”, minacciano l’identità sessuale dei bambini italiani». Nella mozione, ha spiegato Mancuso, è anche contenuto un duro attacco alla legge sulle norme contro l’omofobia, di cui il relatore alla Camera è stato Ivan Scalfarotto, attuale sottosegretario del governo Renzi. In pratica, il Pd locale si è dissociato dalla casa madre. Un po’ come i vescovi tedeschi, ma al contrario. A questo punto il capogruppo del Pd reggino Antonio Castorina, compresa l’assurdità della faccenda (domanda: meglio tardi che mai?) ha cercato, tramite il suo profilo Facebook, di metterci una pezza, spiegando che nonostante il voto a favore della mozione di Ripepi, «il Pd locale lavora compatto per arrivare a breve a un registro delle coppie di fatto».
Insomma, grande è la confusione sotto quel cielo che per un giorno ha dato riparo a migliaia di persone per il primo Pride calabrese ma che per anni è stato di proprietà di amministratori che hanno fatto del “ho firmato senza leggere” una filosofia di vita e di governo.