di Mariarosaria Petrasso
Chi vuole chiudere l’Acquario? Chi vuole spogliare le cooperative culturali della loro sacrosanta dignità.
Quando un luogo, che per anni ha rappresentato un punto di riferimento culturale di una città, minaccia di chiudere due sono le possibili ipotesi: o ha esaurito la sua “mission” oppure è in atto un grave impoverimento materiale e immateriale del posto che lo ospita.
Nel caso del Teatro dell’Acquario di Cosenza minaccia d’interrompersi una storia pluridecennale, che inizia per la strade con un teatro-tenda, sperimentalismo segno di un sentimento di rinnovamento della cultura egemone. Un teatro costruito sui marciapiedi che con il tempo si è trasformato in teatro stabile nel 1981, in progetti come il centro RAT e il CIFA, convogliandosi in quel fiume culturale che ha permesso di offrire cartelloni di tutto rispetto, che nulla avevano da invidiare alle grandi città e contribuivano a dare alla città in riva al Crati la nomea di Atene calabrese.
Poi la discesa generale, la necessità sempre crescente di un pubblico pagante e non solo quello seduto sulle poltroncine del teatro. E’ da tempo ormai che si assiste all’affaire culturale, milioni di euro elargiti da amministrazioni pubbliche, spesso discutibilmente spesi, in un calderone nebuloso che ha più volte indignato l’opinione pubblica. Un esempio: il solo Magna Graecia Film Festival – che in passato ha toccato anche cifre di due milioni di euro – nelle ultime edizioni ha speso ottocentomila euro. Segno che per il grande evento sensazionalista, che si affanna per sfuggire all’oblio del Sud e vince rispetto alle piccole eccellenze, i soldi si trovano.
Come ci ha spiegato Dora Ricca nel video intervista propostovi, l’Acquario per il suo cartellone ha più volte ricevuto fondi diretti dalla comunità europea e perciò non vuole accettare che i tagli gli siano imposti con la motivazione che è proprio la comunità europea a non finanziare le cooperative. Il Teatro dell’Acquario retto da una cooperativa è sicuramente stato un importante laboratorio culturale per il territorio. Oltre ad essere uno dei primi quattordici teatri stabili d’innovazione in tutta Italia, unico in Calabria, è stato la culla di molti attori bruzi come Ernesto Orrico e Nunzio Scalercio, arrivando a vendere anche cinquanta spettacoli all’anno fuori dalle mura cittadine.
Quattro anni fa sono iniziati i tagli dei fondi pubblici per l’Acquario. Nonostante non ci sia una carenza di pubblico, anzi con i progetti di “Famiglie a Teatro” e “Teatrando s’impara” c’è anche il coinvolgimento dei giovanissimi, le spese sono sempre troppo alte. Quando la cooperativa del Teatro dell’Acquario ha organizzato la stagione del Teatro Morelli, ha dovuto accollarsi persino il pagamento dei Vigili del Fuoco, che dovrebbero occuparsi della pubblica sicurezza senza ulteriori tasse.
Per quanto dunque ci si sforzi di fare un buon lavoro, nonostante i teatri pieni e quindi i risultati sotto gli occhi di tutti, con la cultura non si mangia se non adeguatamente sovvenzionata e inserita in un progetto di ampio respiro, che non cada nel mero assistenzialismo ma sia occasione di crescita morale di un Paese.
Il Teatro dell’Acquario si è dato un anno per decidere se smantellare o rimanere in vita. Nel frattempo è stata chiesta la solidarietà della città e di tutti coloro che hanno gravitato attorno al suo palco con una petizione on line (leggi qui). Perché se è vero che ci sono sempre più tagli e disinteresse da parte delle istituzioni, si percepisce anche l’incapacità di fare rete tra i teatranti.
Vedremo se l’appello del Teatro dell’Acquario saprà dare vita a un nuovo Teatro Valle made in Calabria.