di Laura Lombardo
Per chi arriva da Vadue di Carolei, la città è una meteora. Non è necessario essere un filologo per intuire che “emergenza” è il termine utilizzato (o da utilizzare) per indicare qualcosa di inatteso, una circostanza imprevista, un fatto che, appunto, emerge e, nel farlo, genera incredulità, disorientamento, sconcerto.
Ma non per noi.
Per noi l’emergenza è un mantra purificatore che ci libera dal senso di responsabilità, restituendo le nostre vite all’innocente chiacchiericcio quotidiano. E allora, ci ripetiamo che è colpa dell’emergenza maltempo se le montagne si sgretolano, se i fiumi straripano e le persone annegano. Ci convinciamo che è per l’emergenza rifiuti che le città soffocano, le mafie si arricchiscono e le persone si ammalano. Ci persuadiamo che persino la precarietà sia un’emergenza che condiziona le vita dei giovani, l’andamento del mercato immobiliare e i saldi di fine stagione.
Ci trinceriamo dietro l’emergenza, ripetiamo il suo nome milioni di volte per paura di doverne davvero affrontare le conseguenze. E in questo siamo bravi.
Siamo bravi a ripetere che si tratta di emergenza perché sappiamo che così facendo intacchiamo la sua intensità, ne limitiamo la pericolosità.
Svuotiamo la parola “emergenza” del suo significato, la rendiamo normale. E in quanto tale, la assorbiamo, la assimiliamo e, infine, la interiorizziamo. L’emergenza, quindi, non è più un’entità a se stante, qualcosa di identificabile, di circoscrivibile ma diviene un’appendice della normalità a cui sappiamo di poter fare riferimento per giustificare le incapacità politiche e culturali nel trovare soluzioni adeguate.
Così accade che a metà gennaio, a causa dell’emergenza maltempo, crolli parte di una montagna – nel tempo, più volte rattoppata – interrompendo la strada di collegamento principale fra Vadue di Carolei e Cosenza. Il danno, a dire il vero, non è elevato. I detriti occupano solo metà di una carreggiata e potrebbero essere facilmente rimossi se…
Se il momento esatto in cui la prima pietra ha toccato il suolo non avesse innescato il solito immobilismo politico-amministrativo. Si cercano le responsabilità… chi, cosa, quando, dove?
La soluzione è, come sempre, l’immobilismo. La strada viene congelata, transennata, non è più percorribile. Per arrivare a Vadue gli automobilisti sono costretti a un cambio di percorso. La deviazione, più pericolosa della montagna scivolata, costringe chi guida a superare il fiume Busento percorrendo un minuscolo ponticello di certo non abituato ad un traffico così importante.
Se si sopravvive a questa roulette russa, si deve poi attraversare una minuscola stradina di campagna, una di quelle che sembrano aprire il varco verso il vuoto, un intestino di terriccio e buche in cui due file di auto cercano di avanzare a colpi di specchietti che si sfiorano, si urtano, si frantumano nell’andirivieni quotidiano. In alternativa, Vadue è raggiungibile facendo il periplo della Calabria e arrivandoci da Mendicino.
Una soluzione d’emergenza, appunto.