Una storiaccia ingarbugliata, che si è svolta a San Pietro in Guarano. “Devi chiudere, se no, ti fanno chiudere. Altrimenti… quello che vendi ti ci chiudono dentro”. A parlare così in un bar del paese, rivolgendosi alla sua vittima, è una delle quattro persone arrestate dai carabinieri della Compagnia di Rende con l’accusa di estorsione ai danni di un’impresa di pompe funebri di San Pietro. A riferirlo sono stati il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza Francesco Ferace, il comandante del reparto operativo Vincenzo Franzese e quello della Compagnia di Rende Giuseppe Miele illustrando ai giornalisti gli esiti dell’operazione che ha portato all’arresto di E. P. di 49 anni, C. C. (43), F. B. (57) e M. C. (22). I quattro, già indiziati o pregiudicati per reati specifici, dovranno rispondere delle accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
La conferenza stampa dei carabinieri di Rende
A denunciare il tentativo di estorsione, iniziato nel febbraio scorso, sono stati i contitolari dell’azienda il 6 aprile. Secondo gli inquirenti, il sampietrese E. P., a febbraio, si è presentato agli imprenditori come intermediario dei cosentini e di F. P., indicato come referente della criminalità organizzata di Cosenza. Secondo le indagini sostenevano di essere stati coinvolti per compiere intimidazioni ad un’altra agenzia funebre concorrente e non ancora poste in essere. I tre hanno chiesto 5.000 euro per il solo fatto di essere stati coinvolti. Il 26 marzo, fuori dal deposito dell’agenzia, sono stati trovati 3 proiettili cal. 9×21. All’ennesimo rifiuto di pagamento ricevuto dagli imprenditori, E. P. ha detto loro che la richiesta proveniva da “quello che comanda a Cosenza”. L’ultima richiesta del gruppo è stata il pagamento di due tranche da 5.000 euro, la prima delle quali da consegnare il 17 aprile. All’appuntamento si sono presentati anche i carabinieri che subito dopo la consegna del denaro sono intervenuti bloccando due del gruppo, nei confronti dei quali è stato emesso un provvedimento di fermo dal pm della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Provvedimenti che poi sono stati notificati agli altri due. Gli investigatori, incontrando i giornalisti hanno sottolineato la tempestività delle indagini, durate due settimane, e la collaborazione delle vittime che hanno consentito l’arresto dei quattro, che ora tenteranno di difendersi dalle accuse.
Più dei fatti specifici e delle persone coinvolte, per le quali ci auguriamo sempre che si dimostrino estranei alle gravissime accuse, affiora l’innegabile problematica generale di un territorio chiamato a rispondere a storie di degrado sociale sempre più profonde. Solo un anno fa infatti, l’operazione chiamata “Beta” sempre a San Pietro rivelava un profondo sistema di estorsioni e usura ai danni di piccoli risparmiatori e imprenditori. In quel caso 10 arresti, dei quali due, apicali, a San Pietro.
L’aspetto positivo, molto importante, è che in tutte e due le vicende se n’è venuto a capo grazie alla denunce delle vittime, segno che – chiunque abbia ragione in tribunale – il quadro degli eventi non è ancora del tutto irreversibile. L’esperienza in queste cose insegna però che serve una reazione sociale, spinta dalle istituzioni, chiamate a loro volta a tirare fuori la testa dalla sabbia.
Nel suo piccolo Mmasciata ci ha provato nell’estate del 2010, pubblicando nella sua edizione cartacea due pagine molto discusse. Il messaggio, rivolto alla società civile e alle istituzioni era: “Ritengo mio preciso dovere morale sottolineare, anche a costo di passare per profeta di sventure, che continuando a percorrere questa strada, nel futuro prossimo, saremo costretti a confrontarci con una realtà sempre più difficile”. Una celebre frase del giudice Giovanni Falcone. All’appello rispose solo il sindaco di San Pietro in Guarano con una lettera pubblica in cui scriveva che quell’operazione fatta dal giornalista, scritto al singolare e posto fra virgolette, era “pettegolezzo… masturbazione intellettuale… tutto… tranne informazione”.