di Michele Giacomantonio
“All’armi siam stati molto fascisti”, ma non lo sapevamo. Oppure sì, lo sapevamo bene, ma abbiamo fatto di tutto per dimenticarlo. A riportarci alla realtà è il libro di Katia Massara, “Vivere pericolosamente”, edito da Aracne, che squaderna per noi l’album di famiglia del neofascismo in una regione particolare come la Calabria. Un testo gravido di documenti e che con rigore ricostruisce la tappe e le figure del revancismo fascista, rispolverando nomi sui quali era caduto l’oblio. Perché nell’immaginario più diffuso il neofascismo in punta allo Stivale è stato rappresentato dai Boia chi molla di Reggio, mentre in realtà Catanzaro e perfino la sinistrissima Cosenza hanno avuto i loro epigoni del Duce, sospesi tra la vocazione assistenziale ai camerati in difficoltà e la tentazione insurrezionale. Il lavoro di Katia Massara, ricercatrice di Storia contemporanea del Dipartimento di Studi umanistici dell’Unical, riporta alla luce una comunità politica tutt’altro che marginale, numericamente non irrilevante, tenacemente impegnata sia nello sforzo di non sparire che nel difendere la tradizione del Regime, innovandola con il mutare dei tempi. Tutto questo in una Italia che già da un pezzo aveva avviato formalmente il suo cammino democratico e antifascista. Lo sguardo di Katia Massara spazia dagli ultimi fuochi della guerra fino all’alba degli anni settanta e racconta di nobili famiglie impegnate nell’ordire trame piuttosto segrete, correnti di quello che sarebbe diventato il Msi almirantiano dilaniato da dissidi, eppure capace di sopravvivere alle lotte intestine, ma anche di donne che sembrano capovolgere i ruoli emancipando la figura femminile.
E’ il caso del Mif, Movimento femminile italiano, nato per assicurare assistenza alle famiglie dei camerati in disgrazia, ma che presto in Calabria divenne spina dorsale del movimento neofascista. Non si deve cadere nell’inganno di credere che le donne, parecchie, impegnate nella militanza nel Mif avessero conquistato l’agognata parità con i camerati maschi. In realtà il Mif riproduceva in modo perfetto la severa separazione classista che impregnava la concezione della società nelle menti della destra radicale. Infatti le donne protagoniste della lotta neofascista calabrese sono rigorosamente scelte da Maria Pignatelli, nobildonna forte e autoritaria, amica del Duce e pare anche cantata nei versi di D’Annunzio, decisionista esattamente come sa esserlo chi ha dimestichezza con il potere. Dunque nessuna rivoluzione femminile, piuttosto la conservazione e riproduzione di ruoli già ben delineati nella piramide sociale, con schemi gerarchici e ritualità assai collaudate. L’altra figura di rilievo che emerge dalle pagine del libro della Massara è Valerio Pignatelli, marito di Maria, un principe nero destinato ad essere figura di spicco nel Fascismo nazionale e nel neofascismo calabrese. Un personaggio che sembrerebbe uscito da un romanzo, visto che l’autrice lo racconta come “comandante degli Arditi nella Grande guerra, impegnato nella Russia ai tempi delle Armate bianche contro rivoluzionarie, combattente in Etiopia e Spagna e più volte decorato”.
Entrambi i coniugi finiscono in carcere, sia pure per poco, accusati di spionaggio contro gli Alleati, ma mai si separeranno, pur se spesso le loro linee di condotta riguardo alle posizioni ideologiche marceranno in modo divergente. Del resto il fenomeno cui Katia Massara dedica ampio spazio è proprio quello creato da Maria Pignatelli, visto che il Mif è stata “l’unica associazione neofascista di genere”, fondata il 28 Ottobre del 1946, non casualmente nell’anniversario della Marcia su Roma. Il Mif in Calabria avrà una fitta ramificazione, quasi parallela alla diffusione di quello che sarà poi il Msi, del quale cercherà anche di condizionare le scelte. Le pagine che il libro della Massara dedica a Cosenza, restituiscono nomi e iniziative note forse solo a chi quegli anni li ha vissuti, o ne porta nella memoria il ricordo. Per esempio sin dall’inizio troviamo i nomi di chi sarà per lungo tempo punto di riferimento della destra cosentina, come Ugo Filosa, o l’avvocato Ugo Verrina, amico della stessa Pignatelli, oppure l’avvocato Orlando Mazzotta, che per tutti gli anni cinquanta guidò il Msi. Ma pure a Catanzaro, svela la Massara, “la destra neofascista si caratterizza per la sua radicalità”, facendo nessun mistero di ispirarsi alla Repubblica di Salò. Agli inizi degli anni cinquanta il Msi nella provincia di Catanzaro conta infatti ben 48 sezioni, a dimostrazione di una diffusione capillare, mentre a Reggio la Federazione missina conta 600 iscritti. Il culmine arriverà con i moti reggini del 1970, quasi spaccando l’Italia tra un meridione dove sopravviveva uno spirito fascista e il resto d’Italia che si era invece liberata dal fardello nero. Almeno in apparenza.